Un secolo dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, è di nuovo la questione tedesca a condizionare le sorti dell'Europa. A ripresentarsi è un nodo irrisolto, che sembrava diventato del tutto inattuale negli anni della speranza cosmopolitica dopo le rivoluzioni di velluto del 1989: il nodo dei rapporti egemonici interni al vecchio continente, e in particolare il difficile incastro della Germania grande potenza all'interno del precario equilibrio europeo. In termini geopolitici, la crisi in cui versa attualmente l'Unione europea comincia da lì: e i numerosi guai che affliggono la Comunità nata a Roma il 25 marzo 1957 potranno risolversi solo una volta trovata una soluzione a quel problema principale. La crisi di legittimità della Ue (il combinato disposto fra conclamato deficit di democrazia ed euroscetticismo montante) è, in fondo, un effetto di quel nodo geopolitico che nessuno, finora, è stato in grado di sciogliere. E che, probabilmente, ancora in troppi nelle classi dirigenti, innanzitutto a Bruxelles, ma non solo, si rifiutano di vedere: perché in una comunità che, come la Ue, si fregia di essere "comunità di diritto", non c'è nulla di più imbarazzante dello scoprire che i rapporti di forza economico-politici (e ideologici) interni contano ancora moltissimo. Quasi fossimo cento anni fa. Assolutamente benvenuto, dunque, è il denso volume di Valerio Castronovo, che si propone di mettere ordine nella storia più recente (potremmo dire: nella storia del presente) dell'Ue, identificando opportunamente nella Germania la chiave di volta dell'intera vicenda politico-sociale dell'ultimo venticinquennio europeo. Un arco temporale, dal 1989 a oggi, la cui scelta non richiede alcuna giustificazione particolare, tanto è evidente come l'anno della caduta del muro di Berlino rappresenti uno spartiacque dall'importanza impossibile da sottovalutare: un momento nel quale, contrariamente al detto di Fukuyama, la storia ricomincia. Innanzitutto ricomincia quella europea, proprio in quanto storia tedesca: la fine del socialismo reale portava con sé la fine dell'ordine post-bellico dell'intero continente, non solo per il presentarsi delle sfide della democratizzazione e del cambiamento di sistema economico dei paesi dell'ex Patto di Varsavia, ma anche (e forse soprattutto) per la ricomparsa sulla scena di un attore politico di grandi dimensioni ed enormi potenzialità di ulteriore sviluppo. La caduta del Muro e la successiva riunificazione dei due stati in cui la Germania era stata divisa dopo la sconfitta del nazismo annunciava, quindi, libertà, ma anche potenza. Democrazia, ma anche egemonia. Quell'egemonia che la Germania, afferma giustamente Castronovo, oggi non sa tradurre in una leadership funzionale a un sistema europeo più coeso, perché priva, forse, di "capacità di visione complessiva e lungimirante". Da quel momento-chiave del novembre 1989 (carico di speranze, ma anche di realistica preoccupazione: si pensi alle riflessioni di Bobbio) prende le mosse l'autore, per condurci sino all'immediato post-elezioni europee di maggio dello scorso anno con la nascita della commissione guidata da Jean Claude Juncker. Il merito principale del libro sta nel mostrare che la crisi di oggi affonda le proprie radici nelle scelte di allora: nei limiti dell'unione economica e monetaria concepita nel Trattato di Maastricht firmato nel febbraio 1992, atto che sanciva definitivamente il "baratto" tra l'avvenuto via libera dei paesi europei alla riunificazione tedesca dell'ottobre 1990 e l'assenso della nuova Germania all'abbandono del marco (simbolo del successo della repubblica di Bonn nata dalle ceneri della seconda guerra mondiale) in favore di un'unica divisa per l'intera Unione. A Maastricht nasceva l'ircocervo di una moneta senza stato e di un'economia integrata nella quale ciascuna parte, però, conservava il proprio debito pubblico continuando a essere a tutti gli effetti stato a sé, senza cioè che il tutto garantisse per i singoli elementi. L'obiettivo finale dello sviluppo solidale dell'Unione doveva essere il frutto, nel disegno degli architetti liberisti di Maastricht, della competizione fra i suoi membri. A cominciare dalla competizione per vendere agli investitori stranieri i propri titoli sovrani, che mostrò i suoi risultati perversi già durante la crisi monetaria del 1992-'93, da cui l'Italia uscì particolarmente colpita. E che, possiamo dire col senno di poi, non insegnò nulla. La vicenda narrata nel libro è quindi soprattutto un'amara storia d'insuccessi. Con realismo, e partendo da una posizione tutt'altro che euroscettica, Castronovo non nasconde nulla della lunga serie di contraddizioni ed errori di cui è costellata la storia recente dell'Ue: il Patto di stabilità rigido con i deboli ed elastico con i forti (Germania e Francia nel 2003 poterono sforare i parametri senza problemi), l'incapacità delle classi dirigenti di creare istituzioni comunitarie a un tempo efficienti e autenticamente democratiche, il naufragio della costituzione sugli scogli del referendum francese, la mancanza di una politica estera comune (dall'Iraq sino all'attuale conflitto russo-ucraino), fino alla fase nella quale tutt'ora siamo immersi, cominciata con la gestione approssimativa della crisi economico-finanziaria scoppiata negli Stati Uniti nel 2007 e l'avvio dei controversi programmi di salvataggio per le periferie in bancarotta, a cominciare da Irlanda e Grecia. Salvataggi che avrebbero dovuto rappresentare un esempio di "solidarietà comunitaria", ma che hanno invece visto soprattutto l'emergere di un corredo velenoso di pregiudizi e luoghi comuni (reciproci) fra Nord e Pigs. Nel novero dei problemi maggiori che hanno impedito uno sviluppo sostenibile della Ue, l'autore inserisce correttamente l'eccessivo surplus commerciale tedesco: quell'eccedenza di risparmi pubblici e privati che invece di dirigersi a incrementare investimenti e consumi interni (attraverso un aumento dei salari, innanzitutto) è approdata sui lidi dell'Europa periferica ad alimentare la speculazione finanziaria. L'impossibile riproducibilità del modello tedesco, a dispetto di quanto dicano i suoi cantori, sta proprio in ciò: non può esistere una realtà nella quale tutti esportino più di quanto importino. E tuttavia, pur sottolineando la minaccia della crisi sociale che incombe sull'Europa indebitata, e registrando la finanziarizzazione eccessiva dell'economia a scapito delle boccheggianti attività industriali, Castronovo mostra di condividere la diagnosi secondo la quale le gravi turbolenze economiche nel seno dell'Ue derivino dai ritardi nell'adozione di adeguate riforme strutturali. Quelle, cioè, effettuate dalla Germania durante il cancellierato di Gerhard Schröder e all'origine del buono stato di salute attuale della sua economia. L'autore fa propria, dunque, una delle tesi fondamentali dei sostenitori (governo di Berlino in testa) del Modell Deutschland, non rilevando che possa esserci una contraddizione con quanto precedentemente illustrato. Utile, ricco di informazioni e scritto con chiarezza per un pubblico vasto, il volume di Castronovo non è però esente da difetti. Pur essendo finalizzato principalmente alla ricostruzione di eventi, ai fini della chiarezza e profondità del lavoro avrebbero giovato maggiori riferimenti all'intenso e ampio dibattito teorico-critico (giuridico, politologico, economico, ma anche filosofico: Habermas non è mai citato) che da anni accompagna la vicenda dell'Ue. Mentre si sarebbero potute sacrificare le parti (non molte, ma nemmeno pochissime) nelle quali si dà conto, quasi giornalisticamente, delle (tristemente note) vicissitudini della politica di casa nostra. Ma forse il difetto maggiore è che siano sfuggite all'autore un paio di inesattezze di non poco conto: che fosse "il Consiglio dei capi di stato e di governo" a detenere "i pieni poteri legislativi" vigente il Trattato di Amsterdam (1997), e che in Germania vi siano state elezioni politiche anticipate nel settembre 2007. Sviste che, pur non inficiando la tenuta complessiva del libro, non sono del tutto trascurabili in un lavoro che ha come oggetto l'intreccio tra la storia recente dell'Ue e quella tedesca. Jacopo Rosatelli
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