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Nonostante il trascorrere del tempo e della storia, i simboli rimangono sempre vivi, inattaccabili: nessuna mano, nessuna volontà potrà mai distruggerli, perché il pensiero simbolico «è consustanziale all'uomo orientato verso la luce».Il simbolo stesso può essere considerato al centro del XII secolo, così come quest'ultimo è idealmente al centro di tutto il Medio Evo. Lo è anche dell'uomo del XII secolo, del suo mondo e del suo modo di vivere: il suo è un «universo simbolico»: il suo pensiero si basa sul simbolo, che si tratti di teologia, di mistica o di arte. L'originalità del XII secolo consiste nel presentare l'uno accanto all'altro l'amore di Dio e l'amore carnale, entrambi capaci – grazie ai mistici, ai poeti, ai trovatori – di toccare le vette dell'arte: arte temporale e arte dell'eternità, del profano e del sacro, capace di unire il visibile e l'invisibile. Tale è, in sintesi, l'affascinante tematica di quest'opera, che ci porta alla scoperta di un aspetto particolare della realtà medievale: quello che ai nostri occhi è il più importante. L'esperienza del simbolo diviene infatti esperienza spirituale: essa raggiunge l'esperienza mistica e l'anima si trasforma, si illumina e s'incammina verso la saggezza, progredendo di chiarezza in chiarezza, di simbolo in simbolo, verso la luce.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Il simbolismo medievale spiegato in modo tecnico, ma anche a mo' di "storia": in senso narrativo, oltre che essere chiaramente un saggio, questo libro contiene anche interessanti racconti e miti che spiegano anche come la simbologia antica e medievale siano giunte sino a noi, talvolta riutilizzate nella moderna comunicazione. Interessante.
Recensioni
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(scheda pubblicata per l'edizione del 1988)
scheda di Tarpino, A., L'Indice 1988, n. 5
Le edizioni Mediterranee ospitano, nella collana emblematicamente dedicata a Julius Evola, un'opera riveduta ed integrata della Davy (studiosa francese di misticismo, simbolismo e mitologia) già uscita per la prima volta in Francia nel 1955. L'autrice ricollegandosi in larga misura al filone del pensiero tradizionalista "tradizionale" (tra i riferimenti più citati Guénon, Gilson, Eliade) affronta, nel vivo delle testimonianze culturali sopravvissute fino a noi, il complesso "universo simbolico" dei secoli medievali e in particolare del XII. Attraverso il simbolo - ci dice - si dispiegherebbe tutta intera l'unità del mondo quale affiora nella concezione medievale: il visibile è ricongiunto all'invisibile, il basso all'alto, il microcosmo al macrocosmo. Il simbolo sarebbe testimone della verità, e insieme del suo mistero: grazie ad esso si può trasmettere un ordine incomunicabile attraverso la scrittura o la parola. La chiesa romanica è il luogo privilegiato di questa concentrazione simbolica: è il regno delle teofanie, delle manifestazioni del Divino. Il simbolo - afferma la Davy - accoglie il fedele sui portali, si avvinghia ai capitelli, si nasconde nelle absidi. Non rifiuta la storia ma invece di fissarla in un sistema necessario la considera su un piano di simultaneità. E assurge così, nel quadro di una lettura in cui l'influenza tradizionalista dalla scelta del tema si dilata alla metodologia, da oggetto di storia a categoria storiografica, in quanto sintesi e veicolo di una conoscenza che giace nascosta sotto la scorza di una parola o di una forma plastica e di cui l'acutezza dello sguardo deve svelare il contenuto. Una impostazione, questa, ulteriormente forzata in chiave irrazionalistica dalla introduzione di G. De Turris, esperto di letteratura fantastica di dichiarata origine evoliana e di militanza culturale nel campo della nuova destra.
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