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Splendida conferma del talento di Piera Ventre, Sette opere di misericordia è uno dei romanzi piú importanti mai apparsi su un periodo cruciale della nostra storia recente, quello in cui una città – la Napoli post-terremoto – e il paese intero si misurarono con la perdita dell’innocenza
Napoli, giugno 1981. La casa è nel cimitero della città. Una città che è a stento in piedi, piena di puntelli, intelaiata di tubi Innocenti aggrappati al tufo, di palazzi vacillanti e inabitati dove l'oscurità e l'umido la fanno da padroni. Cristoforo Imparato fa il custode del cimitero. Il vetro al posto dell'occhio che una scheggia di granata si è portato via, non è stato sempre un camposantiere. Impiegato in una tipografia, era riuscito ad avere persino un paio di stanzucce a Materdei, un quartiere al centro della città. Ma poi, fallita la tipografia, l'esistenza sua, e di Luisa, Rita e Nicola, la moglie e i figli, si è arrevutata, come dice lui. Così, Cristoforo ha scavato un fosso nel dispiacere tumulandoci qualsiasi sconforto subíto e inflitto. A casa Imparato trovano un giorno asilo Rosaria, una ragazza amica di Rita che, rimasta incinta, non sa se ammantare di menzogna il suo sbaglio, e Nino, il giovane dal nome corto, il figlio del compare di nozze di Cristoforo e Luisa, ospite a Napoli prima di trasferirsi in Germania. Nino fa amicizia con Nicola, il bambino di casa, gli chiede le cose sulla luna, vuole guardare col suo telescopio, poi un giorno scompare, lasciando un cardillo e una caiòla per donna Luisa, «per le sue cortesie, e per il disturbo». Che misericordia e castigo siano così intrecciati da confondersi è la cruda verità che travolge casa Imparato in quell'estate del 1981, l'estate in cui Alfredino Rampi cade nel pozzo a Vermicino e la salvezza del bambino è invano attesa «come la nascita di un Cristo Redentore».Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Bello e intenso, un po' cupo perché molto molto nostalgico, ma dall'anima profonda questi personaggi.
Sembra la storia gestazionale dell'universo, pullula di vita, di epoche, di microcosmi che sembrano piovuti giù dalla luna. Sospesa tra cielo e terra, riemersa miracolosamente dai flutti di un mare che bagna Napoli. 1981, da un episodio di cronaca che ha destato l'attenzione dell'Italia intera, quello che ha fatto parlare notte e giorno del dolcissimo Alfredino, finito in un pozzo, l'autrice scolpisce con la sua forza intellettuale la realtà napoletana con i suoi profumi pasticceri, le spezie e gli aromi. La famiglia è una istituzione che viene a delinearsi già dalle prime pagine, ma che assume uno spessore caratterizzante verso la metà del libro,una frattura tra la teoria che la vede come nido di affetti e la pratica che ne sonda "ogni dispiacere, ogni successo, ogni ostacolo, ogni gioia...erano di ciascuno e di tutti", perciò "l'unica redenzione...era la menzogna". L'amore "un torpore, una pacificazione che le fluiva nei muscoli, nelle ossa, nel suo stare al mondo in modo esatto...una forza gentile che posava le mani sulle spalle...non ti puoi sbagliare ". La città come un ventre enorme che accoglie, ci camminava per quella città, mangiandola assieme al cibo. Attorno a questi grandi temi edificano le proprie illusioni i personaggi, Cristoforo, Luisa, Rita e Nicola che, strabico, guarda con un occhio verso la luna e i pianeti , laddove il silenzio astrale gli rivela misteri sussurati che gli uomini comuni non sanno cogliere. Rosaria che è rimasta inguaiata e deve rinunciare a fare l'attrice o la modella, quando il corpo bellissimo e perfetto si concede e manda la ragione in vacanza, poi c'è il professor Guerrini che da Pisa quasi per dispetto andrà ad insegnare Arte in un liceo di Napoli, per contrastare la sua ricca famiglia. Incroceremo il quadro di Caravaggio che ritrae le opere di misericordia pronte a divenire nel libro azione pura. E i personaggi salgono dai bassifondi e vengono stagliati su una tela.
Chi, come me, è stato bambino a Napoli nei primi anni '80, non potrà mai dimenticare il terremoto: non solo la terribile serata di domenica 23 novembre 1980, che causò migliaia di vittime in Campania e Basilicata, ma anche la seconda terribile serata, quella relativa alle scosse del 14 febbraio 1981, che fece sì meno danni, ma spaventò moltissimo noi bambini, ormai consapevoli. Chi, come me, è stato bambino in Italia nei primi anni '80, non può dimenticare la caduta del piccolo Alfredino Rampi in un pozzo artesiano a Vermicino, nei pressi di Roma. Era giugno, era la fine della scuola. Inviati della televisione e di tutti i giornali si affollarono per giorni in quel luogo fino ad allora sconosciuto, inaugurando, inconsapevolmente, quella che pochi anni dopo sarebbe diventata la "TV del dolore". A Napoli, nei mesi che vanno dal terremoto alla tragedia di Alfredino, si svolge la storia che Piera Ventre ci racconta in questo romanzo. Non troverete Via Caracciolo e neppure Posillipo in queste pagine, ma i quartieri popolari, con la loro anima vibrante, e perfino un camposanto, dove vivono i protagonisti della storia, la famiglia del custode Cristoforo. Ognuno con i suoi dubbi, ognuno con le sue sconfitte, anche premature, ognuno con le sue speranze. L'autrice riesce a descriverli in dettaglio, interiormente e esteriormente, come pennellate di Caravaggio, quell'artista tanto presente in quest'opera. Notevoli i ritratti dei figli, l'adolescente Rita e il piccolo Nicola, che non si può non amare. Come nel precedente "Palazzokimbo", di qualche anno fa, l'autrice riesce a raccontare la vitalità e i tormenti dei margini, intesi sia come persone che come luoghi. Tra le novità italiane che ho letto nel 2020, sicuramente la migliore.
Recensioni
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