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Anno edizione: 1989
Anno edizione: 2014
Come in un’allucinazione, il diciottenne Thomas Bernhard si risveglia un giorno in «un lungo corridoio» con una «infinita serie di stanze, aperte e chiuse, popolate da centinaia se non migliaia di pazienti». È l’ospedale dove Bernhard lotterà per sopravvivere a una grave malattia polmonare. Ed è una delle più nette immagini di «inferno» che Bernhard, maestro nella precisione dell’orrore, ci abbia trasmesso. Qui, in una stanza da bagno dove una suora passa ogni mezz’ora per alzare il braccio del paziente e sentire se ancora si avverte il polso, Bernhard decide di non permettere che gli uomini della sala anatomica con le loro bare di zinco vengano a prenderlo, insieme agli altri morti, come «sgomberando un magazzino di marionette». Decide di vivere. È un momento spartiacque: nella massima inermità, la massima determinazione. Così comincia una traversata delle regioni di confine fra la vita e la morte che è diventata poi, non solo un passaggio cruciale nella vita di Thomas Bernhard, e non solo questo libro, altrettanto cruciale, ma l’opera intera di Bernhard, che qui si mostra nei suoi due gesti originari: la testarda determinazione di vivere e la conoscenza immediata, quasi tattile della morte: «Qui, in questo trapassatoio, io mi ero imposto di non abbandonarmi alla disperazione, semplicemente dovevo lasciare che la natura umana, la quale si palesava qui, come probabilmente in nessun altro luogo, con assoluta brutalità, facesse il suo corso».
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Bernhard è appena diciottenne quando viene ricoverato d'urgenza in ospedale per una grave malattia polmonare, in un reparto che lui nomina "trapassatoio". Ecco la premessa. Tratta di temi fondamentali ed essenziali della condizione umana. Una cosa fra tutte, la più significativa e al tempo stesso terrificante: la morte. L'ospedale è fatto di routine, rituali silenziosi e delle cure disinteressate di suore e medici. Ma è anche un luogo che invita (e costringe) a pensare. Un posto dove tutto ciò che viene prima viene livellato, dove la lotta è soprattutto dello spirito. «Qui, in questo trapassatoio, io mi ero imposto di non abbandonarmi alla disperazione, semplicemente dovevo lasciare che la natura umana, la quale si palesava qui, come probabilmente in nessun altro luogo, con assoluta brutalità, facesse il suo corso».
Mi piacerebbe che si leggesse di più Bernhard di questi tempi in cui ci si fa prendere dalla psicosi del coronavirus e poi ci si tranquillizza pensando che “tanto muoiono solo i vecchi o quelli che erano già ammalati”, ché forse leggere Bernhard potrebbe aiutare a curare una certa grettezza che a volte si annida nell’animo umano. Mi piacerebbe anche che chi legge Bernhard riuscisse e a sentire tutto il disperato amore per la vita e l’acuta sensibilità per la sofferenza umana che trasuda dalle sue parole - o che ci sento io - e anche che leggesse questi suoi volumi autobiografici chi lo critica come eccessivamente pessimista o cinico per capire che razza di vita ha avuto quest’uomo, non certo baciato dalla fortuna (dal genio sì, però). Insomma, più Bernhard per tutti, ma non mi illudo: resterà davvero nel cuore solo a pochi. Ve lo consiglio di cuore.
Recensioni
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(scheda pubblicata per l'edizione del 1989)
scheda di Olivetti, M., L'Indice 1989, n.10
Fra monache impazienti che i malati esalino l'ultimo respiro e cappellani ansiosi d'impartire l'estrema unzione, il diciottenne Bernhard, malato di pleurite, si trova in punto di morte nel reparto degli agonizzanti (il trapassatoio) in un ospedale di Salisburgo, unico giovane in mezzo a vecchi decrepiti che attorno a lui, uno dopo l'altro, cessano di respirare. È in quel luogo di orrori e in quel momento estremo che il ragazzo decide di vivere e inizia un difficile processo di guarigione, nonostante l'improvvisa morte del nonno, unico essere da lui amato al mondo, utopista e bonario despota che soleva ripetere al nipote: "È il corpo che obbedisce allo spirito e non viceversa". Ma è anche lo spirito che s'inventa le malattie: poiché "il malato è un veggente", esse sono indispensabili all'artista e soprattutto allo scrittore per affinarne intelletto e sentimenti. Nel "Respiro", parte dell'autobiografia, Bernhard ha ormai concluso il primo ciclo dei grandi romanzi della follia e dell'autodistruzione. Anche la prosa scorre qui quasi piana e discorsiva, rinunciando ai monumentali grovigli sintattici delle opere precedenti. Pur restando sempre ossessiva, ricca di impennate e di pathos. Fedele e scorrevole la bella traduzione di Anna Ruchat.
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