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In questi giorni, in cui si moltiplicano le aggressioni a sfondo razziale e si diffondono parole incaute e irresponsabili, conviene fare ricorso alle analisi più attente del fenomeno. Questo libretto di Faloppa è particolarmente rigoroso e documentato – l’autore è un sociolinguista di scuola torinese e insegna a Reading. Vengono smontate abitudini discorsive (“non sono razzista, ma…”) ed etichette che qualificano chi le usa (“negro”, “clandestino”, “etnico”). I riferimenti culturali non sono astrusi, e l’analisi risulta piacevole e sempre comprensibile. Uno spunto tecnico di notevole rilievo, quello sull’uso dell’incapsulatore anaforico, viene spiegato amabilmente e mostrato in atto. Un libretto indispensabile.
Libro importante. L'indagine di Faloppa evidenzia il "non sono razzista, ma..." che purtroppo è molto più diffuso di quanto possiamo immaginare. E probabilmente ognuno di noi, anche il più politicamente corretto, il più caritatevole, ha assaporato almeno una volta questo cancro della discriminazione. Anche inconsciamente i nostri comportamenti ci (s)qualificano quando per esempio diamo del "tu" ad un senegalese o bengalese che vuole venderci fazzoletti, rose, accendini. Perché ci viene naturale dare del "tu" ad una persona che non conosciamo? Perché siamo persone amabili? Può darsi, ma forse c'è una "innata/indotta" percezione del lavavetri, zingaro o ambulante come un essere inferiore che non merita il "lei"? O perché quando ci intratteniamo con uno di questi strani esemplari della specie umana chiediamo loro "da dove vieni'" o "dove sei nato?", come se una persona di un colore diverso dal nostro debba per forza di cose non essere nato in Italia. Riflessi innocenti, che non fanno danni? Non proprio, perché le parole sono pietre, e feriscono e fanno sì che certi atteggiamenti, pregiudizi sopravvivano nel tempo e, anzi, prosperino. Dipende da che parte si guardano le cose: "Il sindaco ... definì con il termine "vu cumprà" i venditori ambulanti senegalesi. Qualcuno obbiettò che la parola era offensiva. Il primo cittadino ribatté che si trattava di una polemica pretestuosa in quanto ormai "vu cumprà" era una parola d'uso comune. Quando chiesero ad un mio amico giornalista senegalese cosa ne pensava, egli rispose: "Dite a quel sindaco che è un cretino! Tanto, cretino è ormai una parola d'uso comune". Kossi Komla-Ebri
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