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Razzisti a parole (per tacer dei fatti)
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Razzisti a parole (per tacer dei fatti) - Federico Faloppa - copertina
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Razzisti a parole (per tacer dei fatti)
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Razzisti a parole (per tacer dei fatti)

Descrizione


Altro che scomparso: il razzismo - quello più subdolo, quello a parole - è uno spettro che s'aggira per l'Europa. In alcuni paesi c'è chi se ne è reso conto, c'è chi resiste: nelle istituzioni, tra chi fa informazione, nell'opinione pubblica. In Italia no: il linguaggio razzista ha ormai permeato non solo la discussione da bar, ma il discorso pubblico e politico a tutti i livelli (tanto a destra quanto a sinistra), il mondo dell'informazione, e le chiacchiere di tanti, troppi cittadini Zingari e clandestini campeggiano sui giornali; argomenti pseudo-scientifici invadono i commenti degli editorialisti epiteti, barzellette e luoghi comuni provocano bonaria ilarità (e non, come ci sarebbe da aspettarsi, immediata indignazione). Perché, almeno a parole, non si è fatto un solo passo in avanti: gli immigrati sono sempre altri (comunque non italiani), i rom sempre irriducibilmente delinquenti, la nostra cultura e le nostre abitudini (ma quali?) sono sempre migliori (e sempre sotto assedio, attaccate). E i clandestini sono diventati un tipo antropologico, una minaccia costante, una 'specie' da combattere. Federico Faloppa, con esempi tratti dal linguaggio politico e mediatico degli ultimi vent'anni, attraverso l'analisi e lo smontaggio di stilemi linguistici, testi, argomentazioni, e con un piglio da inchiesta, mostra quanto nessuno sia al riparo dall'imbarbarimento verbale, e quanto ci appaia purtroppo accettabile ciò che dovrebbe invece inquietare ognuno di noi.
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Dettagli

2011
13 ottobre 2011
144 p., Brossura
9788842096214

Valutazioni e recensioni

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Rossana
Recensioni: 5/5

In questi giorni, in cui si moltiplicano le aggressioni a sfondo razziale e si diffondono parole incaute e irresponsabili, conviene fare ricorso alle analisi più attente del fenomeno. Questo libretto di Faloppa è particolarmente rigoroso e documentato – l’autore è un sociolinguista di scuola torinese e insegna a Reading. Vengono smontate abitudini discorsive (“non sono razzista, ma…”) ed etichette che qualificano chi le usa (“negro”, “clandestino”, “etnico”). I riferimenti culturali non sono astrusi, e l’analisi risulta piacevole e sempre comprensibile. Uno spunto tecnico di notevole rilievo, quello sull’uso dell’incapsulatore anaforico, viene spiegato amabilmente e mostrato in atto. Un libretto indispensabile.

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gianluca guidomei
Recensioni: 4/5

Libro importante. L'indagine di Faloppa evidenzia il "non sono razzista, ma..." che purtroppo è molto più diffuso di quanto possiamo immaginare. E probabilmente ognuno di noi, anche il più politicamente corretto, il più caritatevole, ha assaporato almeno una volta questo cancro della discriminazione. Anche inconsciamente i nostri comportamenti ci (s)qualificano quando per esempio diamo del "tu" ad un senegalese o bengalese che vuole venderci fazzoletti, rose, accendini. Perché ci viene naturale dare del "tu" ad una persona che non conosciamo? Perché siamo persone amabili? Può darsi, ma forse c'è una "innata/indotta" percezione del lavavetri, zingaro o ambulante come un essere inferiore che non merita il "lei"? O perché quando ci intratteniamo con uno di questi strani esemplari della specie umana chiediamo loro "da dove vieni'" o "dove sei nato?", come se una persona di un colore diverso dal nostro debba per forza di cose non essere nato in Italia. Riflessi innocenti, che non fanno danni? Non proprio, perché le parole sono pietre, e feriscono e fanno sì che certi atteggiamenti, pregiudizi sopravvivano nel tempo e, anzi, prosperino. Dipende da che parte si guardano le cose: "Il sindaco ... definì con il termine "vu cumprà" i venditori ambulanti senegalesi. Qualcuno obbiettò che la parola era offensiva. Il primo cittadino ribatté che si trattava di una polemica pretestuosa in quanto ormai "vu cumprà" era una parola d'uso comune. Quando chiesero ad un mio amico giornalista senegalese cosa ne pensava, egli rispose: "Dite a quel sindaco che è un cretino! Tanto, cretino è ormai una parola d'uso comune". Kossi Komla-Ebri

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Voce della critica


Che si pubblichino libri e articoli sul razzismo italiano dei nostri giorni è cosa sempre positiva. Se non altro per il fatto che la tradizione nostrana di studi, ricerche, inchieste sul neorazzismo – tardiva, almeno rispetto a quelle di altri paesi, avendo poco più di un ventennio – ha bisogno di essere incrementata e rinnovata. Benvenuto, quindi, è questo volumetto di Federico Faloppa, studioso di sociolinguistica, autore di opere sul razzismo linguistico, fra le quali Parole contro. La rappresentazione del "diverso" nella lingua italiana e nei dialetti (Garzanti, 2004; cfr. "L'Indice", 2005, n. 3). Anche questa di cui parliamo è, come si deduce fin dal titolo accattivante, una critica, più sintetica e divulgativa, di alcune pratiche discorsive che riflettono e nel contempo alimentano pratiche sociali di discriminazione e razzismo. Al riguardo è utile ricordare che il linguaggio non è solo un sistema di rappresentazione, ma ha anche sempre valore performativo.
Il libro, di stile volutamente giornalistico e basato su un materiale empirico in gran parte tratto dal web, da articoli di stampa o da lavori altrui, esamina alcune delle molte parole chiave e delle tipiche frasi fatte che punteggiano il linguaggio della xenofobia, del disprezzo, dell'intolleranza o "solo" del dileggio verso categorie sociali reputate estranee, soprattutto migranti e minoranze, in primis rom e sinti.
Conviene premettere che in Italia il lessico che etichetta gli "altri" (per meglio dire, gli alterizzati), mediante stereotipi e cliché che inferiorizzano, stigmatizzano, essenzializzano e generalizzano arbitrariamente, non si configura solo come gergo da strada o da gente comune, ma è entrato in molteplici linguaggi mainstream: mediatico, politico, burocratico, perfino giuridico. Si pensi a "clandestino", "extracomunitario", "vu' cumprà", "nomade", "zingaro", termini connotativi ma adoperati ormai come se fossero neutri, sui quali anche questo libro si sofferma. E si consideri – per fare un altro esempio, che qui non è presente – il caso del termine "badante", oggi usato abitualmente per nominare le assistenti familiari di nazionalità non italiana: da essere vocabolo della parlata leghista, oggi si è normalizzato e diffuso al punto da essere entrato in testi amministrativi e giuridici.
Razzisti a parole è suddiviso in dodici capitoli (o piuttosto paragrafi) dei quali i primi due valgono come breve premessa. Il primo ha per oggetto la classica frase fatta che di solito prelude a enunciati xenofobici o razzisti: "Io non sono razzista, ma…". Essa è tutt'oggi assai frequente in Italia: 140.000 occorrenze, come l'autore ha potuto constatare attraverso una ricerca nel web. In realtà si tratta di un vecchio topos sul quale si è scritto più volte: già nel lontano 1989 era stato messo alla berlina da Alessandro Portelli, in un articolo, forse dimenticato, per "La Critica Sociologica" (Su alcune forme e articolazioni del discorso razzista nella cultura di massa in Italia).
Il secondo paragrafo-premessa affronta in modo succinto e non accademico il problema della "razza" e della definizione del razzismo, questioni aventi anch'esse alle spalle una storia lunga e intricata. Che la "razza" sia un mito (a giusta ragione Faloppa cita il famoso saggio pionieristico del 1942 di Ashley G. Montagu), che sia una "metafora naturalistica", secondo l'espressione coniata da Colette Guillaumin in un'opera del 1972, cioè una categoria del tutto immaginaria applicata a gruppi umani reali per inferiorizzarli, discriminarli, perseguitarli, sterminarli, è cosa ormai del tutto attestata. Per questo ci sembrano eccessivi i verbi al condizionale e le cautele dell'autore: per esempio, "le razze non esistono almeno sul piano biologico" (vi sono forse "razze culturali"?); "ciò rende vano cercare confini razziali netti" (fra le "razze" vi sono forse confini sfumati?). E controvertibile ci sembra l'uso non virgolettato dell'aggettivo "razziale" in luogo di "razzista"("odio razziale", "insulti razziali" e così via), per quanto esso sia ampiamente presente anche in leggi e convenzioni internazionali contro il razzismo.
Oltre a soffermarsi su alcune parole chiave del discorso razzista e sulle retoriche sicuritarie ed emergenzialiste, Faloppa dedica uno dei capitoletti (Etnico è bello?) all'abuso del vocabolo "etnia" e dei suoi derivati, dilaganti almeno da un ventennio: che servano a connotare come esotiche pratiche, costumi, musica, cucina, prodotti di consumo non occidentali, che siano adoperati quale eufemismo di "razza" o che valgano a denegare agli "altri" la qualifica della nazionalità in favore dell'asimmetrica, inferiorizzante, infondata attribuzione etnica. Sia pure in maniera concisa, l'autore ricostruisce anche la genealogia di "etnia", a partire da Erodoto. Seppur procedendo a volo d'uccello, Faloppa non si limita a denunciare lo scadimento del linguaggio pubblico, soprattutto quando si tratta degli "altri". Ne mostra anche gli intrecci con alcune vicende recenti del razzismo istituzionale italiano, non occultando il fatto che esso, praticato senza alcuna inibizione da governi, amministrazioni e politici di destra, sia stato esercitato anche da parte del centrosinistra.
Nel capitolo intitolato ironicamente "Discriminazione transitoria positiva", Faloppa fa vedere come a una cattiva politica corrisponda un idioma pessimo e viceversa. Il testo che esamina è la mozione parlamentare sulle classi differenziali riservate ad alunni "stranieri" non padroneggianti la lingua italiana, che nel 2008 fu presentata da ventisette parlamentari del Pdl e approvata dal parlamento. Il documento, che in definitiva proponeva di confinare in classi-ghetto i minori "di stirpe" non italiana, è tutto costruito secondo false argomentazioni, ossimori, sbavature lessicali.
Ci sembra questo il tema più interessante e meritevole di sviluppi, che qui l'autore ha potuto solo abbozzare, dato il carattere del volume. Con la sua competenza sociolinguistica, Faloppa di sicuro contribuirà a incrementare l'analisi (nel nostro paese limitata a pochissimi autori, fra i quali Giuseppe Faso) di ambiti specifici nei quali l'idioma della xenofobia e del razzismo si maschera sotto la pretesa neutralità di gerghi specialistici, burocratici, amministrativi, normativi.
Annamaria Rivera

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Conosci l'autore

Federico Faloppa

1972

Ha una cattedra presso Università di Reading (Gran Bretagna) come professore di Storia della lingua italiana e Sociolinguistica nel Dipartimento di Lingue moderne. Impegnato particolarmente nello studio degli stereotipi etnici e della costruzione linguistica della diversità, ha pubblicato, tra l’altro, Lessico e alterità. La formulazione del diverso (Edizioni dell'Orso, 2000), Parole contro. La rappresentazione del diverso nella lingua italiana e nei dialetti (2004), Razzisti a parole (per tacer dei fatti) (Laterza, 2011), Sbiancare un etiope. La pelle cangiante di un tòpos antico (2013), il capitolo dedicato al linguaggio in Contro il razzismo. Quattro ragionamenti, a cura di Marco Aime (2016) e Brevi lezioni sul linguaggio (Bollati Boringhieri, 2019).

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