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Anno edizione: 2017
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Di per sé non è scritto male e soprattutto la storia di Rose è coinvolgente. Ma con un titolo del genere uno si aspetta di ritrovarvi un dipinto che ritrae una ragazza non un fattorino d’albergo.
L'autrice ci regala una bella storia di due donne, legate tra loro da un dipinto, appartenuto a entrambe le famiglie. L'alternanza dei capitoli ci racconta la storia di Rose, nata alla fine degli anni Venti a Vienna e costretta a lasciare la sua casa a causa dei nazisti, e Lizzie, trentenne losangelina trapiantata a New York che torna a casa per il funerale del padre. Molto bella la parte riguardante la storia di Rose e la sua evoluzione fino al suo arrivo a Los Angeles. Tutti i personaggi che compaiono nella sua vita sono ben delineati e non si può fare a meno che affezionarsi. La storia di Lizzie è un po' meno appassionante, ma allo stesso tempo abbastanza ben strutturata. "La ragazza nel dipinto" è una storia coinvolgente, ben scritta e molto accurata nella parte di ricostruzione storica. Consigliato a coloro che amano i romanzi ambientati durante la seconda Guerra Mondiale e le belle storie.
Le parti del romanzo che si svolgono nel tempo attuale spesso sembrano la parodia di "Sex and the City", con dialoghi più volte noiosi e superficiali, ricchi di "wow" e di qualche parolaccia di uso corrente, che evidentemente "fa moderno" (!). Nelle parti, invece, che si svolgono al tempo della seconda guerra mondiale e delle persecuzioni razziali - i capitoli sono continuamente alternati - c'è senza dubbio una maggiore capacità di agganciare il lettore, ma manca la profondità necessaria per evocare e rappresentare l'immane tragedia dell'olocausto nei suoi riflessi sui singoli personaggi. Ellen Umansky è al suo esordio nel campo del romanzo - e si vede - ma deve fare ancora molta strada per essere una vera grande scrittrice.
Recensioni
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“Perché é un cazzo di Manet! Perché é uno dei maestri dell’arte mondiale!… E poi é morto, quindi non può fare altri capolavori, il che vuol dire che il suo valore é destinato a salire“. (p. 69)
Cosa ci può essere in comune tra un’anziana signora di 70 anni di origini austriache e una donna americana di 38 anni di Los Angeles? Rose Zimmer durante la seconda guerra mondiale è solo una bambina e viene mandata in Inghilterra per sfuggire ai tedeschi che hanno invaso Vienna e depredato tutte le bellezze della città. Tra le cose rubate in casa sua c’è un quadro a cui lei e la sua famiglia sono molto legati: il Fattorino, dipinto da Chaim Soutine, impressionista simile a Modigliani, che ritrae un uomo giovane in divisa rossa con i bottoni dorati; il volto e gli arti sono allungati, le orecchie elefantiache. Il naso storto, una postura goffa e la testa grande rispetto al collo. I colori sono incredibili e cambiano a seconda della distanza di osservazione.
Negli anni successivi anni il quadro arriva in America dove viene acquistato dal padre di Lizzie Goldestein in California e anch’essa si innamora perdutamente del Fattorino, che purtroppo verrà nuovamente rubato.
Durante il funerale del padre di Lizzie, morto per cause naturali, le due donne fanno conoscenza, parlano del quadro e scoprono di avere diverse cose in comune. Tra loro nasce un’amicizia e una complicità inaspettata, ma sarà destinata a finire a causa di una scomoda verità che il fattorino si porta dietro da anni.
“Che ne sai tu della volatilità del mercato dell’arte? … E comunque nulla é solo interessante. Le cose sono irritanti o meravigliose, stupide o piacevoli, affascinanti, belle o terribili. Cosa intendi per interessante?” (p. 203)
La ragazza del dipinto rappresenta un viaggio tra passato e futuro, in cui due generazioni completamente diverse tra loro convergono verso un denominatore comune: il dolore della perdita. Il romanzo è scritto proprio come un pittore dipinge un quadro: una pennellata per volta. Il Fattorino di Soutine infatti compare raramente nei primi capitoli quasi a fare da cornice al dramma del lutto e della guerra; con il passare del tempo e dei capitoli diventa invece protagonista indiscusso, mostrando la forza profonda dell’arte.
” Non c’é nulla di garantito. L’arte é arte. Deve essere qualcosa che ti piace. Come quel Soutine” (p. 69)
Recensione di Marco Cattaneo
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