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Ivano Dionigi dà la parola a due classici del pensiero antico, Lucrezio e Seneca, per tentare di costruire una strada percorribile anche per noi, alla ricerca di risposte alle domande ultime che il nostro tempo pare avere perso di vista. Nella prima parte attraverso un'entusiasmante indagine sulle parole esplorate nel loro significato profondo vengono illustrate le due diverse visioni della vita dello stoicismo e dell'epicureismo. Nella seconda parte Lucrezio e Seneca vengono letteralmente portati sulla scena e diventano protagonisti di un dialogo impossibile: nulla di forzato o artificioso, perché sono ancora i loro testi a parlare, grazie alla capacità e alla passione di un grandissimo filologo.
Ingredienti: il dilemma tra una vita attiva (il fare, il negotium) o una contemplativa (il conoscere, l’otium), la felicità come impegno o come distacco, l’alternanza tra la voglia di stabilità (il noto) e quella di cambiamento (l’ignoto), un dialogo finale immaginario tra Lucrezio e Seneca per rimarcare diverse possibilità filosofiche, linguistiche, esistenziali. Consigliato: agli stoici che meditano su concetti antichi dal sapore moderno, agli epicurei che vivono di piaceri letterari e umanistici.
L'autore si immagina un dialogo serrato tra Seneca e Lucrezio, nel corso del quale i due filosofi mettono a confronto il loro pensiero sulle "domande ultime" che, prima o poi, ogni uomo si pone nel corso della vita. Per quanto riguarda la religione e la divinità, lo stoico Seneca, "spiritualista", e l'epicureo Lucrezio, materialista e ateo, sono in completo disaccordo. Lucrezio: "La religione è origine e causa di angoscia e delitti... Se gli uomini conoscessero il funzionamento delle leggi di natura, non avrebbero paura e non affiderebbero agli dèi la spiegazione del mondo ". Di parere contrario è Seneca. " Il mondo è retto dalla provvidenza. In noi dimora uno spirito divino. Nessun senza dio può essere un uomo del bene. In ciascun saggio abita un dio; il suo nome non è dato saperlo". Con l'avvento del cristianesimo Lucrezio fu emarginato e dimenticata la sua opera. Solo nel 1417 si recuperò una copia del " De rerum natura", mentre Seneca venne arruolato da San Girolamo nel "catalogo dei santi" quale precursore del Cristianesimo.
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