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La ricerca di un senso è innata nell'uomo. E' la ricerca di un senso nelle cose che tiene in vita anche nelle condizioni peggiori possibili. Questo libro è una testimonianza vissuta letteralmente sulla propria pelle di come la ricerca di un senso possa fare miracoli, contro ogni probabilità, Questo libro vi commuovera, vi fara incazz***per la sua crudezza, ma non vi lascerà di sicuro indifferenti. A me ha toccato il cuore.
119.104 è il numero di matricola nei campi di concentramento di Viktor Emil Frankl, psicologo austriaco che, tra il 1942 e il 1945, trascorse molti mesi in quattro diversi Lager. Un'esperienza di inenarrabili stenti e sofferenze che ha consentito all'Autore di esaminare dall'interno e di misurare sulla propria diretta esperienza, le motivazioni profonde che hanno portato alcuni detenuti a sopravvivere in una realtà estrema dove tutto appare senza senso e senza prospettive: dallo choc di accettare il nuovo status di reclusione e di abiezione, alla vita quotidiana di morte e di privazione, alla riscoperta dell'interiorità. Ed è proprio sul convincimento che si salva solo chi ha motivazioni profonde che Frankl fonda la propria teoria: "dal modo in cui un uomo accetta il suo ineludibile destino e con questo destino tutta la sofferenza che gli viene inflitta, dal modo in cui un uomo prende su di sé la sofferenza come la 'sua croce', sorgono infinite possibilità di attribuire un significato alla vita, anche nei momenti più difficili, fino all'ultimo atto di esistenza". Una pubblicazione poco conosciuta e tradotta solo da pochi anni in Italia ma che merita una più attenta considerazione.
Ho un ricordo stupendo di questo libro, che a 18 anni mi ha affascinato, tanto da citarlo in un compito in classe di filosofia, dove misi a confronto il pensiero di Frankle sulla ricerca di un senso come molla che ci spinge a vivere anche nelle situazioni più estreme e Freud ... un 9 con elogio del prof!
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