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Dopo due volumi diVersi d'amore e di gloria (1982 e 1984) e diProse di romanzi (1988 e 1989), dopoTutte le novelle (1992) e altri due volumi dedicati agliScritti giornalistici (1996 e 2003), i "Meridiani" Mondadori accolgono, nelle "Opere di Gabriele d'Annunzio", leProse di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d'indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni. Come indicato nella nota all'edizione, i due volumi ripropongono i tre tomi mondadoriani dei "Classici contemporanei italiani" curati da Egidio Bianchetti fra il 1947 e il 1950. Rispetto alDisegno dell'Edizione di Tutte le Opere approntato dallo stesso d'Annunzio nel 1927 e poi precisato, Bianchetti aveva incluso nelleProse di ricerca un diario postumo, ilSolus ad Solam, al quale, tra il settembre e l'ottobre del 1908, è consegnata la cronaca del drammatico epilogo della relazione con Giuseppina Mancini. Dalla scelta di Bianchetti alle attenzioni di Ricciardi e Roncoroni negli anni settanta, ilSolus ad solam si è imposto come luogo di transizione della scrittura dannunziana verso la più estesa prosa di ricerca autobiografica delleFaville del maglio - sul "Corriere della Sera" nella prima metà degli anni dieci, poi riordinate ampliate e raccolte nel 1924 - e dello stessoNotturno, che risale al 1916 ma è dato alle stampe nel 1921.
I "Meridiani" accolgono dunque ilSolus ad solam e i curatori presentano leProse di ricerca come un "contenitore multiplo e aperto", teso a raccogliere "l'ultima creatività che, tutt'altro che esaurita, darà numerosi frutti", anche in quella prospettiva postuma segnalata esplicitamente dalLibro segreto (1935). In tal senso è facile evadere la nozione di riciclo, cara ai detrattori, e in un certo modo anche quella di frammento, che finisce per dar nuovo e compatto corpo a vecchi testi e progetti: "Ho scritto un libro, volendo scrivere un frammento!". In tal senso, leProse di ricerca rappresentano quasi, per i diversi generi letterari praticati da d'Annunzio, il compiersi dell'incompiuto: delle incompiuteLaudi, dei romanzi annunciati ed elusi o ancora dei narrativi e liriciAspetti dell'ignoto, principiati conLa Leda senza cigno, ma anche delle stesseProse di ricerca. Non a caso, allora, i curatori offrono al lettore una sezione di appendici di duecentocinquanta pagine con scritti non facilmente reperibili e relativi a quasi tutte le opere raccolte nei due tomi:Per la più grande Italia,Il libro ascetico della giovane Italia,L'Urna inesausta,Le faville del maglio,Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele d'Annunzio tentato di morire,L'allegoria dell'autunno. A queste appendici seguono le note di commento di Andreoli, Angelo Piero Cappello, Silvia Capuani, Carla Pisani, Andrea Possieri, Zanetti.
All'introduzione di Annamaria Andreoli e all'apporto di più o meno giovani studiosi che discendono da varie scuole, da quella di Raimondi, cui il lavoro è dedicato in occasione del suo ottantesimo compleanno, a quella del prematuramente scomparso Ciani, sul quale sta per uscire un volume di saggi, è affidato oggi il rilancio delleProse di ricerca. Si tratta di un rilancio apprezzabile, in non casuale sintonia con un ritorno, fra critica e romanzo, del personaggio d'Annunzio e dell'ultimo d'Annunzio in particolare; quello del primo dopoguerra, degli anni fiumani e post fiumani, dell'esilio a Gardone (dal 1921), del Vittoriale, del lento avvicinarsi alla morte (1938) sullo sfondo dei totalitarismi. Basta pensare al saggio storico di Salaris,Alla festa della rivoluzione (il Mulino, 2002), dedicato adartisti e libertari con d'Annunzio a Fiume, o al romanzo storico di Alessandro Barbero,Poeta al comando (Mondadori, 2003), dove una certa fuga dalla storia permette al sensibile romanziere di recuperare, in modo divertito ma accorto, l'uomo d'Annunzio, e non solo il monolite del poeta-soldato e/o del dandy-superuomo.
Certo, le ricognizioni di Cecchi, Praz, Raimondi, ricordate da Siciliano su "la Repubblica" (12 aprile 2005), cui bisogna aggiungere almeno quelle di De Robertis, Falqui e Jacobbi, non a caso citato da Cappello nelle note alleFaville, avevano tracciato la strada e, nei limiti del possibile, saputo liberare l'ultimo d'Annunzio dall'ipoteca imperiale - attiva comunque fino alTeneo te Africa (1936) - riconducendolo piuttosto alla letteratura e a quella biografia che non coincide, come spesso ancora si crede, con quella di Mussolini e del fascismo. Non si tratta qui di fare del revisionismo spicciolo, ma di provare per esempio a ripensare con la prefatrice un fatto "discriminante" come il delitto Matteotti del 1924, e magari poi comparare la risposta dannunziana con quella della coscienza della crisi: il Pirandello di Salinari e di quanti l'hanno seguito nel successivo sinistrismo. Mentre d'Annunzio lascia circolare per mesi sui giornali nemici la sua opinione sul delitto - "fetida ruina" - salvo poi dichiarare la sua estraneità alla lotta politica, Pirandello si iscrive al partito fascista all'indomani dell'uccisione di Matteotti; come ricordava, per esempio, Jesi inCultura di destra (Garzanti, 1979), libro che ci ha aiutato più di Salinari de Castris e tant'altri, a capire il binomio d'Annunzio-Pirandello e il rapporto tra mito e ideologia, finanche tra letteratura e vita.
Luciano Curreri
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