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Ambientato nell'incendiario '68/69, inizia con il misterioso omicidio di uno svizzero sulla soglia della casa editrice che doveva pubblicarne le memorie, ad opera, si presume, di 3 misteriosi vecchietti, prontamente ingabbiati, su cui convergono tutte le prove ma che si guardano bene dall'aprire bocca sul movente. L'ispettore Binda viene quindi mandato in missione segreta nell'ottocentesca fortezza di San Vitur fingendosi detenuto,per carpire quelle notizie che non escono mai da lì e che potrebbero far sbrogliare la matassa in cui si sono invischiati piani alti di finanza, politica e magistratura. Dettagliata e realistica la vita quotidiana a San Vittore, anche perché Valpreda ci passò 3 anni per la strage di Piazza Fontana prima di essere assolto in un numero spropositato di processi per insufficienza di prove. Complessa,all'inizio, la storia dello svizzero,della quale fin dopo la metà del libro non ci ho capito nulla. Poco efficace il racconto della rivolta carceraria di San Vitur dell'aprile 69,una guerra che esplode proprio quando il Binda dovrebbe uscire per il fallimento della sua missione. Interessanti i rapporti tra i detenuti, in un'epoca in cui il ladruncolo d'appartamento, il killer seriale e gli studenti che sventolano bandiere davanti alle università, si trovano tutti insieme accumunati dalla detenzione. Dalla metà in poi Irrompe la bellissima e poetica figura di Metim-Metim, il matto del villaggio, con la paura in fondo al cuore e disperso nei boschi di Domodossola, dove si sposta l'ambientazione, che racconterà la storia dello svizzero e dei suoi assassini, svelando chi sono i maimorti; molto bella questa seconda parte, romanzata su un fatto storico vero ma a me ignoto. Mi sarei aspettata di più dalla prima parte,vista la scelta di ambientazione ed epoca; un po' di quella "luce" anarchica e ribelle, di quel clima di sospensione che precede lo scoppio di una bomba ad orologeria, che manca del tutto nel libro
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