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Le prime pagine del romanzo
Alice Humphrey capì subito che il bacio avrebbe rovinato tutto.
«Sa come si dice, signorina: un’immagine vale più di mille parole.»
Alzò lo sguardo dalla foto verso il poliziotto che aveva parlato, che di cognome faceva Shannon – il nome non se lo ricordava. Era quello con i capelli di un biondo slavato e il colorito rossastro. Pancia prominente, da bevitore.
La guardava letteralmente dall’alto in basso, e la cosa non le piaceva. La faceva sentire piccola, in trappola. Ripensò a poco prima, quando i due erano entrati in casa sua, chiedendosi se non avessero scelto apposta dove sedersi in modo da ottenere esattamente quell’effetto.
Shannon e il suo collega – si chiamava Danes? – l’avevano aspettata davanti casa, infagottati in cappotti e sciarpe, con i caffè stretti tra le mani per scaldarsi. Lei, invece, era arrivata ancora accaldata nella felpa che aveva indossato in fretta dopo la lezione di spinning.
Erano rimasti per qualche minuto a chiacchierare in strada, lei con le braccia incrociate, come per trattenere il calore, sempre più consapevole del sudore che le inumidiva il viso, mentre Shannon non la smetteva di lanciare occhiate alle chiavi di casa, fino a quando non aveva dato voce al suo pensiero: «E se continuassimo dentro?».
Amichevole. Gentile. Rispettoso. Lo stesso tono che avevano usato la mattina precedente. Soltanto un giorno prima. Circa trentuno ore, per essere precisi. Avevano accennato al fatto che forse ci sarebbe stato bisogno di contattarla di nuovo in futuro, ma poi erano comparsi lì, davanti a casa sua, senza alcun preavviso. Alice non aveva avuto scelta.
«Certo.
Salite pure.»
L’avevano seguita in casa. Si era versata un sorso d’acqua. Loro non avevano voluto nulla, ma si erano appollaiati sugli sgabelli sistemati intorno all’isola della cucina, mentre lei aveva optato per la sedia del tavolino da colazione, con lo schienale appoggiato al muro. Solo adesso si rendeva conto di essersi messa all’angolo da sola, letteralmente e metaforicamente. D’altronde era inevitabile: era l’unico posto nel suo piccolo appartamento in cui potesse sedersi senza dare le spalle agli ospiti.
Abbassò la cerniera della felpa, maledicendosi per non essersi fatta la doccia in palestra.
I due avevano avviato la conversazione con nonchalance. Qualche battuta lungo le scale sulla necessità di aumentare l’esercizio fisico.
Ancora un paio di domande, niente di più, le aveva detto Shannon.
Ma ora che erano in casa, Alice cominciava a notare qualcosa di strano nel suo tono. Non era più così amichevole, gentile e rispettoso. E poi c’era il fatto che si erano presentati a sorpresa.
Nonostante il suo allenamento fosse finito mezz’ora prima, il cuore le batteva all’impazzata e il sudore continuava a scenderle in minuscole goccioline lungo la nuca. Forse il suo subconscio era condizionato dalle troppe serie poliziesche, ma in un certo senso sapeva perché erano lì. Non ne conosceva le ragioni reali, ma una spiegazione se l’era data. Anche prima del bacio, sapeva che i due uomini erano lì per lei.
E poi le domande. Le sue finanze. La famiglia. Gli infiniti «ci parli ancora». Ci parli ancora di come ha conosciuto Drew Campbell. Ci parli ancora della galleria. Ci parli ancora del viaggio a Hoboken. Come se la volta prima non le avessero creduto.
Ma solo quando vide il bacio capì che la sua vita stava per andare in frantumi.
Shannon aveva fatto cadere la fotografia sul tavolo con noncuranza. Aveva disteso le dita tozze con un gesto quasi aggraziato, lasciando scivolare l’immagine di carta lucida, formato 20x25, sul piano di pino grezzo.
Alice abbassò lo sguardo sulla donna immortalata nello scatto e si riconobbe, gli occhi socchiusi, le labbra increspate, leggermente all’insù, posate teneramente sull’angolo della bocca di un uomo. Sembrava felice. In pace. Per quanto beata fosse la sua espressione nella foto, vederla le causò un’ondata di terrore. Inspirò a fondo per ricacciare indietro la nausea.
«Sa come si dice, signorina: un’immagine vale più di mille parole.»
Distolse lo sguardo per il tempo necessario a lanciare un’occhiata al detective Shannon. Quelle parole banali continuavano a risuonarle nelle orecchie, mentre il suo battito accelerato, impazzito, tuonava in sottofondo.
Tornò a fissare la foto. Non c’era dubbio che l’uomo ritratto fosse Drew Campbell. E anche se la parte razionale del cervello le stava urlando di non crederci, Alice non poteva negare che le labbra femminili che stavano accogliendo quel bacio fossero proprio le sue.
Accarezzò la fotografia, come se la donna nell’immagine dovesse da un momento all’altro prendere vita e girarsi verso di lei, in modo che Alice potesse dirle, sollevata: «Scusa, ti avevo scambiata per un’altra». Sentiva lo sguardo dei detective fisso su di lei. Era chiaro che si aspettavano una risposta, ma lei non sapeva proprio cosa dire. Non riusciva a far altro che fissare lo scatto, scuotendo la testa.
Alice Humphrey capì che quel bacio le avrebbe rovinato la vita, perché soltanto trentuno ore prima aveva camminato nel sangue di Drew Campbell sulle mattonelle bianche del pavimento della galleria d’arte in cui lavorava. Aveva cercato goffamente di sentirgli il battito, ritrovandosi a tastare uno strato di pelle morbida e fredda. E prima di vedere quella foto, avrebbe giurato sulla sua stessa vita che, a parte una stretta di mano, le sue dita premute contro la carotide di lui fossero state l’unico contatto fisico che avessero mai avuto.
L’ultimo anno non era stato facile, ma Alice si rese conto di non essersi mai fermata ad apprezzare le piccole comodità della sua vita, una vita in fondo piacevolmente ordinaria, prevedibile, sicura. Non lo sarebbe stata mai più.
Alice, come tutti, ignorava ciò che il futuro le riservava, ma qualunque cosa fosse, era appena stato distrutto da quella fotografia.
E non era che l’inizio.