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Bellissimo libro. Assolutamente da leggere! Ottima divulgazione, quindi certo, non si trovano ad ogni riga i riferimento bibliografici delle tesi espresse. Ma le critiche dell'utente precedente mi sembrano piuttosto balzane... chissà che assunti avrà incorporati... :-)
Ho iniziato a leggerlo con sincera curiosità, senza aspettative ma con fiducia e apertura. Leggo i ringraziamenti, leggo l'introduzione, leggo il primo capitolo, poi il secondo... leggo e leggo... e cosa leggo? Il nulla più assoluto. Vado avanti e, tranne una piccolissima parentesi nella prima parte del capitolo sulla Fisiologia degli assiomi, più spiccio e concreto, scoprirò che intanto il libro è tutto così, fino alla fine. Cosa intendo con “nulla più assoluto”? Un saggio (saggio?) che si propone come scientifico, concreto e propositivo e che di scientifico non ha nulla: non un dato, non una statistica, non un numero, se non un fidarsi “scientificamente” di quello che dice l'autore. Lo dice continuamente, del resto: vi dirò questo, farò questo, scoprirete questo, quello... e come lo scopriremo? Solo perché ce lo dice lui. E infatti il libro è infarcito di testi espliciti e paratesti nascosti autoreferenziali e autocelebrativi: continuamente si celebra dicendo che questo libro è ben scritto, ben illustrato (ma dove?), che ci farà cambiare idea, che ci metterà il germe del dubbio, che – finta modestia, vera arroganza – alla fine ne sapremo meno di prima. Ooooh, ma che bravo... Poi: continui riferimenti alla sua bellissima e bravissima compagna Isabel, ai figli, agli amici, agli scienziati solo se però sono stati suoi maestri, educatori, mentori e affini. Tutta gente bravissima e geniale, mai suffragata da un fatto concreto. Ce lo dice lui, crediamoci. Continui riferimenti al mondo della Silicon Valley: Google, Apple, Steve Jobs, eccetera. Cita sempre questi, mai una volta Bill Gates per dire: evidentemente, dietro c'è questo mondo qui. E infatti cosa si scopre? Che Lotto è un partecipante delle TedX Conference, che sono la finta cultura popolare in realtà snobistica e soprattutto ricca e foraggiata da queste multinazionali per darsi una parvenza di etica, di libertà, di apertura mentale. Poi: scritto davvero male, ripetitivo, noioso, ripetitivo, noioso, fino al
Un gioiello. Libro impegnativo ma che svela moltissime cose e soprattutto che la realtà non è quella che abbiamo davanti agli occhi.
Recensioni
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Che differenza c’è tra ciò che vediamo e ciò che percepiamo? Com’è noto questa domanda ha ossessionato filosofi e scienziati sin dai tempi di Platone. Oggi, le neuroscienze cognitive ci aiutano a rispondere a questo antico interrogativo, a chiarire la differenza tra realtà e percezione, tra ciò che l’occhio vede e la rappresentazione che ne dà il cervello. (...). ognuno di noi percepisce e ricorda più vivamente solo alcuni particolari della realtà, caratteristiche che hanno a che vedere con esperienze precedenti, emozioni, propensioni fortemente individuali, ma anche trappole cognitive. È quanto ci dice, Beau Lotto, in questo affascinante libro, in cui il lettore viene condotto per mano attraverso il complesso mondo della percezione e partecipa a una serie di esperimenti percettivi, grazie alle figure e a un taglio molto originale del volume che induce il lettore a rendersi conto che ciò che vede passa attraverso complessi filtri e distorsioni. Lotto sui temi della percezione, ha il grande merito di fondere scienza e narrazione, dati che riguardano l’occhio e il cervello, ovverosia visione e percezione, e storie improntate alla realtà quotidiana o alla cronaca. Un aspetto originale del libro è quello di essere disseminato da “trappole percettive” che, molto spesso, sono agganciate al mondo dell’arte: ad esempio ai movimenti d’avanguardia dei primi del Novecento capeggiati da Kazimir Malevic autore del celeberrimo Quadrato nero e dell’ancor più noto Bianco su bianco. Per Malevic, “solo la sensibilità è essenziale, l’oggetto in sé non significa” e Beau Lotto sottolinea come il dipinto in sé non abbia spesso alcun valore rispetto al passato percettivo di chi lo osserva, all’interpretazione cognitiva. L’autore di Percezioni rimanda spesso alle teorie dello psicologo della percezione e neuroscienziato inglese Richard Gregory che operò in stretta consonanza con lo storico e teorico dell’arte austriaco Ernst Gombrich. Secondo i due studiosi, vi sono schemi figurativi che danno all’immagine il valore di una codificazione che elimina il concetto di una visione innocente e “naturale” dei fatti visivi. Le immagini, secondo Gregory e Gombrich, sono chiavi, capaci di aprire certe serrature biologiche o psicologiche. Questo concetto emerge chiaramente dal testo – e dalle immagini – del bel saggio di Lotto: il cervello non è mai un analizzatore imparziale ma, attraverso la sua plasticità, si adatta e percepisce, modificando in tal modo la sua stessa struttura. La scienza della percezione dimostra che abbiamo la possibilità di attribuire nuovi significati a un’esperienza precedente, il che può alterare l’insieme dei nostri significati passati e, a sua volta, le risposte future. Come conclude Lotto, “siamo noi a cambiare ciò di cui siamo capaci”.
Recensione di Alberto Oliverio
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