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Lettura lenta di questo libro. Storia poco avvincente e a tratti banale. testo poco scorrevole.
“La montagna non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all'altro, silenzio tempo e misura.” Cognetti intreccia l'amore per la montagna con l'amicizia fra due ragazzi. Lo spirito di libertà che si respira qui dentro è davvero singolare, Bruno e Berio-Pietro sono legati da un sentimento unico. Il tempo passa eppure quel senso di appartenenza alla natura, quel richiamo alle cime del Grenon, quel costante desiderio di deviare dalla strada maestra che li accomuna è sempre presente, nonostante le distanze, i nuovi incontri e i cambi di lavoro e vita. Un romanzo splendido che sarà difficile da dimenticare, mi ha fatto riflettere sulla velocità del nostro tempo e delle nostre giornate, e su quanto invece, un'esistenza che va al ritmo lento della natura sia davvero gratificante e soprattutto piena. Leggetelo e poi, una volta finito, caricate lo zaino sulle spalle e partite alla conquista di una cima.
Quando inizi un libro e di pagina in pagina ti senti motivato a continuare la lettura fin quando non l'hai terminato vuol dire che stai leggendo un bel libro Questo è il caso di" Otto Montagne " Paolo .Cognetti .Tre ,secondo il mio punto di vista , sono i protagonisti accattivanti di questo romanzo.: la montagna, descritta in modo dettagliato e appassionato, l'amicizia di Pietro e Paolo, la silenziosa figura di due donne tenaci e amorevoli.( la mamma di Pietro )e Lara la compagna di Bruno. La trama è così ricca di vissuto, di paesaggi, di ricerca interiore che potrebbe anche diventare il copione di un film . Da leggere assolutamente.
Recensioni
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A cura di: Il Rifugio dell'Ircocervo
Un vecchio nepalese disegna nel terreno una ruota divisa da otto raggi, poi afferma: “Noi diciamo che al centro del mondo c’è un monte altissimo, il Sumeru. Intorno al Sumeru ci sono otto montagne e otto mari. Questo è il mondo per noi”. E aggiunge, indicando il centro: “Avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne, o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?”.
L’incontro tra il vecchio nepalese e Pietro, protagonista e voce narrante del romanzo di Cognetti, avviene solo verso la terza e ultima parte dell’opera, eppure è in queste parole che risiede la chiave interpretativa de Le otto montagne. Avrà imparato di più Pietro vagabondando per il mondo, spinto dalla sua viscerale attrazione per i monti, o l’amico Bruno, che non ha pressoché mai abbandonato le montagne dove è cresciuto, suo personale Sumeru?
Pietro e Bruno si sono conosciuti a Grana, piccolo paese circondato dai monti. Pietro è un ragazzino di città, i suoi genitori hanno l’anima votata alla montagna, ma si sono costruiti una vita nella frenetica e infelice Milano; Bruno non ha mai visto nulla al di fuori di Grana, e a undici anni ha già mollato gli studi per aiutare la famiglia a pascolare le loro mucche. Nonostante le possibilità di incontrarsi siano ridotte ai soli mesi estivi, l’intesa tra i due amici è fin da subito profonda e solida, destinata a legarli per tutta la vita.
La trama semplice, strutturalmente e contenutisticamente parlando, permette a Cognetti di dedicare largo spazio all’evoluzione psicologica ed esistenziale dei suoi personaggi, uno dei più incisivi elementi di forza del romanzo. Pietro e Bruno sono persone introverse, il loro è un rapporto che vive di parole non dette e contatti sporadici, eppure entrambi i personaggi sono entità tangibili, uomini reali nati su carta. La loro capacità di comprendersi senza dover essere espliciti si riflette in un linguaggio letterario attento e asciutto, che consente anche al lettore di coglierne i sottointesi emotivi e le sfumature caratteriali.
Lo stile di Cognetti è quasi una magia: senza dover rivelare apertamente tutti i tratti psicologici dei suoi protagonisti, il lettore riesce a intuirli con naturalezza, pur nella loro complessità. Si seguono quindi con grande trasporto due differenti percorsi di crescita, l’uno irrequieto e vagabondo, l’altro sicuro e tenace, fino al loro finale naturale, coerente e perfetto.
Insieme a Pietro e Bruno c’è sempre la montagna, forse la vera protagonista del romanzo, certamente qualcosa più di un semplice sfondo paesaggistico o una metafora poetica. Silenziosa, possente, fredda e affascinante: è l’habitus naturale di Giovanni, il padre di Pietro, che sembra diventare se stesso solo durante le sue scalate tra i sentieri montuosi; è l’unica casa di Bruno, montanaro nell’anima, che non riuscirà mai a lasciarla; ed è la meta naturale di Pietro, che vive vagabondando per il mondo, ma con lo sguardo rivolto sempre verso l’alto, alla ricerca delle cime montuose.
La montagna è anche il filo conduttore di quattro vite che altrimenti non si sarebbero mai toccate: si comincia dalle Dolomiti dove si sono conosciuti, e sposati, i genitori di Pietro, si prosegue per le montagne esplorate nelle vacanze estive, mete di passaggio prima di trovare Grana e le sue affascinante cime montuose, e si conclude con la lontana e immensa Himalaya. Il romanzo si dipana in spazi geograficamente anche molto distanti, eppure l’elemento onnipresente dei monti allevia la percezione della lontananza, tanto per il lettore quanto per i suoi protagonisti.
Le otto montagne, oltre ad alterare la percezione dello spazio, è anche un romanzo senza tempo: arriva fino ai giorni nostri, eppure della modernità traspare ben poco. Apparecchi elettronici, strumenti telematici, il web, tutte quelle innovazioni che negli ultimi decenni hanno cambiato il mondo Cognetti le lascia fuori dalla sua opera.
La montagna non ha bisogno di televisori, social network o smartphone, e i suoi abitanti trovano soddisfazioni in altre attività — pascolare le mucche, mungere, costruire con le proprie mani un’abitazione solida, camminare per i sentieri. Perfino il telefono è uno strumento usato raramente e di malavoglia, tanto che Pietro e sua madre arriveranno a tenersi in contatto principalmente tramite delle lettere scritte a mano, durante i periodi di separazione. Nonostante ciò il romanzo si mantiene coerente e realistico: attraversa un arco temporale ampio circa mezzo secolo che solo casualmente concerne gli ultimi cinquant’anni italiani, ma che di fatto riflette il passato, il presente e il futuro in un’unica, profonda narrazione.
Non è evidentemente un caso se l’opera di Cognetti è stata accolta fin da subito con favore dalla critica letteraria, fino alla vittoria dell’agognato Premio Strega 2017.
Recensione di Anja Boato
Caso letterario prima ancora della pubblicazione (è già stato venduto in 22 Paesi, cosa rara per un romanzo italiano) è la terza opera montanara di Cognetti, dopo Il ragazzo selvatico e alcune ispirazioni di A pesca nelle pozze più profonde. È il racconto di un apprendistato all’amicizia e alla vita, attraverso il rapporto tra Pietro, il protagonista, e Bruno, un ragazzino che abita nel paesino ai piedi del Monte Rosa, dove Pietro e i genitori trascorrono l’estate. Bruno è nel suo habitat (cura le vacche e in agosto parte con i parenti per raggiungere un alpeggio), mentre Pietro è un ragazzino di città, che viene iniziato all’amore per la montagna dalla madre, assistente sociale, e dal padre, un uomo irrequieto confinato alla prigione del lavoro in città, spesso imperscrutabile, ma capace di grandi dolcezze.
In narrativa non ci sono temi più universali del paesaggio, dell’amicizia e del diventare adulti, e la scrittura di Cognetti si fa classica (ed elegante) per raccontare al meglio questa storia. Credo sia per questo che Le otto montagne è stato così apprezzato all’estero.
Per molti, quando si parla di romanzo a tema “montagna” la prima cosa che viene in mente è Mauro Corona, e le sue elegie minime da eremita in divisa. Qui non c’è niente di tutto questo. C’è solo il romanzo vero di un bravo scrittore.
Recensione di Mario Bonaldi
In Nepal si dice che il mondo è una ruota a otto raggi. Al centro c’è una montagna altissima, il monte Sumeru, intorno otto montagne, i raggi della ruota, e tra di loro otto mari. (…). Nella terza parte di “Le otto montagne” Bruno, il montanaro, domanda a Pietro, il narratore: “Tu saresti quello che va per le otto montagne e io quello che sale sul monte Sumeru?”. “Pare proprio di sì”, risponde Pietro. Bruno non ha mai lasciato il piccolo paese natale di Grana. Pietro, il milanese, lavora in Himalaya. Ma hanno una casa in comune, fatta con le loro mani: “Barma drola che è il centro della ruota nella seconda parte: un vecchio rudere ricostruito, con due stanze, una piccola e chiusa con il lucchetto, perché è il deposito degli attrezzi, l’altra grande, con la stufa, sempre aperta come un rifugio (…). Ognuno è il centro del proprio mondo e intorno a lui i raggi della ruota sono le persone che gli sono care. Conoscersi è difficile come salire il monte Sumeru.
Molti diranno che in questo libro è la montagna il centro della ruota. A me pare che nella prima parte, Montagna d’infanzia, il centro sia il narratore, fino ai sedici anni. Lo ritroviamo a trent’anni nella seconda. Nella terza il centro è Bruno. Le otto montagne è scritto come un classico, limpido e asciutto. Ha la pendenza aurea del romanzo breve e percorrendolo si respira bene. Per metà del racconto i fatti si svolgono lineari; poi arrivano le sorprese. Pochi sono i personaggi: i due amici, i loro genitori, qualche parente stretto. Leggendo veniamo a conoscerli bene. La trama è l’amicizia: è questo il centro della ruota nepalese. La montagna è il cerchione: senza di esso i raggi non stanno insieme. Se la ruota è un simbolo, il racconto ci offre altre due immagini simboliche. Se entriamo nell’acqua di un torrente, che scorre come il tempo, dove sono il passato e il futuro? domanda a Pietro il padre. “Il futuro è giù, dove va l’acqua” risponde Pietro; cioè a valle. “Sbagliato, per fortuna” lo corregge il padre. Solo qualche anno dopo, andando a pesca Pietro capirà perché ha sbagliato. Se guardi a monte, come fanno i pesci, che mangiano con il muso rivolto alla corrente, il futuro ti viene incontro e alle spalle hai l’acqua passata. Il destino viene dall’alto, dalla montagna. Ma se le volti le spalle, il futuro è a valle, dove l’acqua scende. Ogni simbolo è reversibile. In montagna si può vivere al diritto, a l’adret, oppure al rovescio, a l’envers. Il diritto è il versante esposto a sud; il rovescio è il versante nord, dove la luce è riflessa e l’inverno dura a lungo. Nelle loro scorribande Pietro e Bruno amano esplorare i versanti all’envers, e all’envers si costruiranno la baita; e la vita. Guardano a monte. Ma quale versante? La ruota non lo dice (…).
Recensione di Andrea Casalegno
Siete voi di città che la chiamate “natura”. È così astratta nella vostra testa che è astratto pure il nome. Noi qui diciamo “bosco”, “pascolo”, “torrente”, “roccia”, cose che uno può indicare con il dito. Cose che si possono usare. Se non si possono usare, un nome non glielo diamo perché non serve a niente.
È proprio vero che ognuno di noi ha le sue montagne. Le mie sono nell’alta Val Venosta, incastrate lassù, in quell’angolo tra l’Austria e la Svizzera. È lì che ho scoperto il profumo delle pinete e dei rododendri. Che ho imparato che cos’è la fatica, e quanto a volte può essere ripagata. Che ho visto paesaggi talmente belli da lasciarti senza fiato, che ho respirato un’aria fresca e pungente così diversa da quella della campagna e che riconoscerei ovunque.
La montagna di Pietro sorge sopra Grana, un paesino ai piedi del Monte Rosa. Ha iniziato ad andarci quando era ancora bambino, d’estate, con i suoi genitori. Ci tornerà tutti gli anni. Un ragazzo di città, solitario e fragile, che scopre il verde dei prati, il rumore dei ruscelli, la bellezza della natura. E conosce Bruno, che in quel di Grana ci vive, che è ancora bambino ma è già costretto a lavorare accompagnando le mucche al pascolo. La loro prima estate insieme è fatta di corse nei prati, di esplorazioni di case diroccate, di tuffi nei torrenti. Di avventura e libertà.
Tra i due nascerà un legame profondo, un’amicizia che non vive di parole ma di azioni, così forte da sopravvivere alle stagioni più dure e alla distanza. Perché il tempo e lo spazio nel loro rapporto non contano poi tanto. Non basteranno l’immaturità e l’egoismo dell’adolescenza ad allontanarli; non serviranno il viaggio di Pietro in Asia e la nuova famiglia di Bruno, le incomprensioni e il senso di perdita; tutte le difficoltà della vita non riusciranno a rompere quel rapporto. Qualunque sia la strada che ognuno ha deciso di intraprendere prima o poi passerà ancora una volta dalla quella montagna.
È uno splendido romanzo di formazione quello di Paolo Cognetti. La storia di un’amicizia che cresce e si consolida nel tempo, forte e selvaggia, quasi primordiale, fatta di poche parole e di tanti silenzi. Scritta con una lingua vera, essenziale, che si nutre di termini precisi e ricercati legati a quel mondo alpino così distante dalla città e che forse si sta perdendo per sempre. Una storia di uomini che hanno bisogno di concretezza, che hanno imparato ad abituarsi alla solitudine, uomini insicuri, fragili, vivi, che cadono e si rialzano, che si fanno le ossa, che diventano adulti.
Recensione di Mauro Ciusani
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