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servizio veloce e sicuro.\nlibro interesante.
Penso che siano ben poche le persone che non abbiano mai risolto un cruciverba. Molti hanno anche provato a crearlo, un cruciverba. Ma se uno avesse dovuto parlare del cruciverba, si sarebbe trovato a mal partito, almeno prima che Stefano Bartezzaghi pubblicasse questa sua opera monumentale. La prima sezione, "orizzontale", del libro narra la storia delle parole crociate, e la sua diversificazione negli USA, in Gran Bretagna, in Francia e naturalmente in Italia, con la Settimana Enigmistica che naturalmente fa la parte del leone. Nella seconda parte "verticale" il cruciverba viene messo in relazione agli altri giochi con le parole, nella migliore tradizione di Bartezzaghi. Nell'appendice al libro c'è anche un ricordo, forse troppo limitato, del "P.": Piero Bartezzaghi, il padre di Stefano, la persona che per le generazioni fino alla mia è il sinonimo di "empireo del cruciverba". Occhei, se volete Stefano aveva un vantaggio competitivo su questo tema, ma garantisco che l'ha svolto superlativamente!
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Sin dalla soglia L'orizzonte verticale, titolo del nuovo libro di Stefano Bartezzaghi, immette il lettore nel mondo paradossale delle cose impossibili, dei ghiacci bollenti, dei solidi liquidi. L'ossimoro ovviamente evoca il cruciverba, oggetto principale del libro, ma indica anche due direzioni di esplorazione. Seguendo la prima, quella orizzontale, Bartezzaghi indossa i panni dello storico e ricostruisce le tappe che hanno visto l'immediato e travolgente affermarsi di questo gioco in tutto il mondo, a partire dal 21 dicembre 1913, giorno in cui fece la sua prima comparsa fra i supplementi del "New York World". Nella seconda parte lo storico è sostituito dallo speleologo, che verticalizza la sua indagine approfondendo alcune questioni, come le affinità strutturali fra il cruciverba, l'acrostico, il carme cubico e altri antichi antenati, oppure le omologie con i generi letterari o con discipline come la semiotica, la psicoanalisi e l'epistemologia.
L'esplorazione, nelle due direzioni, non è priva di incontri piacevoli con personaggi bizzarri, a cominciare dai primi tarantolati dal gioco, come li chiamò Emilio Cecchi, che già nel 1925 dedicò a questo passatempo un prezioso saggio. Così un uomo di Chicago affetto dalla mania del cruciverba, e per questo denunciato dalla moglie che si considerava una "vedova di cruciverba", fu condannato dal giudice a non risolverne più di tre al giorno. O il leggendario professor Jones di Eton, che per risolvere il cruciverba del giornale del mattino aveva bisogno solo del tempo impiegato dalle uova della colazione per cuocere. Per finire con i grandi creatori di cruciverba come Will Shortz, eccentrico responsabile del gioco sul "New York Times", guru della disciplina e primo laureato al mondo in enigmatology, o il nostro cruciverbista per antonomasia, Piero Bartezzaghi, che dagli anni cinquanta fino al 1989 ha composto il cruciverba di pagina 41 sulla "Settimana enigmistica" e ha contribuito a fare di questa rivista di giochi il settimanale più venduto in Italia (aspetto sul quale forse sarebbe opportuno che anche i sociolinguisti riflettessero con più attenzione, visto il milione di copie di tiratura), ma ha anche contribuito a innovare la lingua italiana, sulle pagine di quello che è a tutt'oggi uno dei pochi luoghi in cui gli italiani, sempre più in difficoltà con la parola scritta, come hanno mostrato recenti indagini, possono svolgere piacevolmente qualche attività metalinguistica.
L'impressione che si ha seguendo lo storico-speleologo in questa ricerca è che studiando la storia del mondo delle parole incrociate non si abbia a che fare solamente con un gioco. È certo, come scrisse Cecchi, che il giocatore del cruciverba è disinteressato e il gioco è "libero, gratuito, irragionevole, completamente fine a se stesso". Ma la posta in gioco non è solo quella. Il cruciverba è un ottimo e motivante esercizio di ortografia, utilizzato spesso anche nei libri di testo per imparare le lingue straniere. È un "rosario di conoscenze in disuso", come disse Dossena, ma non per questo trascurabile, proprio perché "la base della cultura è la passione per le nozioni inutili, uno tra i pochi sentimenti nobili che può avere l'uomo". È un esercizio di logica combinatoria, parente stretto del gioco degli scacchi e della traduzione. È un luogo in cui si esaltano le abilità investigative del giocatore solitario; le domande a cui rispondere sono spesso formulate più come indizi (clues in inglese) che come definizioni, e il solutore assomiglia più a un detective che a un sapiente. Per dire che "l'isola del discorso" è la parentesi, che "un uomo che non pensa mai a me" è un egoista o che "un condannato a morte" è l'uomo non basta essere sapienti, bisogna avere l'arguzia dei migliori scrittori di aforismi francesi e il fiuto di un detective.
Come aveva notato Cecchi, questo mostruoso caleidoscopio verbale è anche specchio del mondo contemporaneo, con il suo sapere enciclopedico non metodico, frammentario, in movimento. E forse non è casuale che il gioco nasca proprio negli anni in cui cubismo, futurismo, imagismo disegnavano le nuove linee dell'orizzonte del moderno e la sensibilità artistica del Novecento, fatto di accostamenti insoliti, di analogie, di velocità. Il cruciverba, d'altronde, ha molte più affinità con la poesia di quanto non si sia disposti a credere. E Bartezzaghi lo mostra assai bene nel suo libro, ricordando l'amore di Auden per i cruciverba, ma anche le affinità elettive tra questi due modi di mettere in croce le parole, a cominciare dai vincoli strutturali che gli autori si impongono (le forme chiuse e la metrica per la poesia, la disposizione simmetrica dei quadratini neri nei cruciverba oppure il verso libero e lo schema libero) fino alla ricerca lessicale che porta in certi momenti ad atteggiamenti di chiusura e conservazione (si parla di cruciverbese come in poesia di poetichese) e in altri ad aperture al nuovo, con l'accoglimento di parole o espressioni gergali, straniere, della cultura pop oppure alla creazione di neologismi (ne è esempio il caso di Piero Bartezzaghi che nel 1950 introdusse neofascista come soluzione di "un... nostalgico della politica").
Paradossale forse non è il titolo, ma il fatto che si sia dovuto aspettare tanto tempo perché un'attività così diffusa e radicata nel nostro Novecento e oltre, sia stata considerata seriamente come argomento per un'indagine semiotica e linguistica. Dopo l'apertura ai fumetti e alla cultura pop, forse varrà la pena di guardare alla "Settimana enigmistica" non solo per passare il nostro tempo, ma anche per interpretarlo. Franco Nasi
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