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L’opera edita da Nietzsche stesso con il titolo Umano, troppo umano, e presentata per la prima volta nel 1878 come scritto compiuto e autonomo, venne poi ripresentata in una seconda edizione, nel 1886, con il titolo Umano, troppo umano, I, e riunita agli scritti degli anni seguenti 1879-1880, Opinioni e sentenze diverse e Il viandante e la sua ombra che a loro volta, nella edizione del 1886, furono fusi con il titolo Umano, troppo umano, II.
Umano, troppo umano è la prima opera di Nietzsche presentata in forma aforistica. In precedenza egli aveva offerto trattazioni organiche, o addirittura sistematiche, come nel caso della Nascita della tragedia, in cui, attraverso uno stile ispirato e insieme elaborato, egli comunicava le sue intuizioni sull’antichità classica o le esperienze liberatrici di chi aveva fatto sue la filosofia di Schopenhauer e l’arte wagneriana. Ma, gradualmente, il suo pensiero si rende più autonomo: e la più forte tra le sue esperienze vissute, quella suscitata dall’arte di Wagner e resa più intensa dal contatto diretto, dall’amicizia con il musicista, viene alla fine sentita come un ostacolo. Una serie di impulsi conoscitivi, accantonati o repressi per la vicinanza di Wagner e del suo ambiente, vengono ora lasciati liberi di espandersi in una meditazione solitaria. Non si tratta comunque di una rottura, di un rinnegamento esplicito (almeno all’inizio), ma di un respiro più ampio, di uno sviluppo allargato, che giudica ormai l’ideale wagneriano come «umano, troppo umano», e ricerca un’altra liberazione, rivolgendosi dalla cultura tedesca a quella francese, perseguendo un fine di indipendenza interiore, anteponendo la ragione al sentimento, la scienza all’arte. Il risultato è la caratterizzazione dello «spirito libero», quale ci è offerta appunto da Umano, troppo umano.
Questa conquista di indipendenza si manifesta nella forma nuova dell’aforisma, che non ha soltanto un valore di creazione stilistica, ma indica anche un approfondimento conoscitivo. Il primato della ragione, l’esigenza della scientificità (che costituisce il tema centrale di Umano, troppo umano), non significa, nell’intenzione di Nietzsche, né un esauriente procedimento induttivo, né una predilezione per il metodo dimostrativo, sotto la guida della deduzione e delle catene del pensiero discorsivo, bensì la necessità di raggiungere un giudizio oggettivo, che si impone come un lampeggiamento razionale e che nell’aforisma, appunto, trova la sua espressione adeguata. Questa è la scienza concreta, perché l’essenziale qui si manifesta nel circoscritto: i termini di quel giudizio sono ricercati nella sfera sensibile, nel mondo del divenire. In questo senso la storia dell’uomo offre al filosofo il suo campo di ricerca.
La morale, la religione, l’arte, la politica sono gli oggetti verso cui si appunta il giudizio scientifico dello «spirito libero». Il compito è affrontato in Umano, troppo umano, ma per trattarlo sino in fondo occorreranno ancora, prima che lo sviluppo di Nietzsche allarghi ulteriormente la sua tematica, gli scritti successivi: Aurora e La gaia scienza.
I frammenti postumi (1876-1878) che completano il volume, e di cui oltre la metà è inedita, permetteranno al lettore di seguire più da vicino questa fase cruciale della vita e del pensiero di Nietzsche.
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