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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2015
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un altro buon libro di Calabresi. Ottima lettura, ben scritto e con un insegnamento che tutto dovremmo sempre ricordare: credere nei propri sogni, cercare di realizzarli e vivere consapevolmente. Lo consiglio anche a chi ha bisogno di coraggio e acquisire sicurezza in se stesso
Bravo Mario. Ottimo libro che fa riflettere e guadagnare fiducia, andrebbe proposto nelle scuole di ogni tipo.
Un bel libro, molto piacevole e pieno di speranza.
Recensioni
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A qualcuno piace definirlo “eroismo del quotidiano”, per altri sono solo gesti di spontanea umanità che non hanno nulla di eroico, si tratta comunque di vite di personaggi esemplari che talvolta si ha la fortuna di incontrare. Oppure di leggere.
Mario Calabresi, giornalista e direttore del quotidiano torinese La Stampa, su questi fulgidi esempi di vita vissuta positivamente ha costruito la sua linea di pensiero. Nei suoi saggi, a cominciare dal bestseller Spingendo la notte più in là (Mondadori, 2007) in cui racconta la storia di suo padre, il commissario Calabresi, e delle altre vittime del terrorismo durante gli anni di piombo, per finire ai suoi ultimi scritti La fortuna non esiste e Cosa tiene accese le stelle, Calabresi ha sempre raccontato la vita quotidiana di uomini e donne che, malgrado tutto, non hanno mai smesso di credere nel futuro.
Il sottotitolo del libro, anche in questo caso, è esplicativo: Storie di ragazzi che non hanno avuto paura di diventare grandi, e sono proprio i ragazzi il punto di partenza da cui prende le mosse il noto giornalista. Durante uno dei suoi consueti incontri con gli studenti delle scuole italiane, Calabresi incontra un ragazzo timido che gli pone una domanda tremendamente complicata: “Lei davvero crede che la nostra scelta individuale possa fare qualche differenza nelle nostre vite? Io, come molti miei compagni, credo che le condizioni esterne siano troppo più forti di qualunque sogno e di qualunque volontà, e che l’unica strada sia la fuga da questa Italia. Siamo nati nel tempo sbagliato”. È la voce, fin troppo nota, di uno di quei ragazzi definiti recentemente “gli sdraiati”: giovani o adolescenti arresi, impotenti, annichiliti. Mario Calabresi, per rispondere a questa domanda, decide di servirsi dell’esempio di molti giovani che, oggi come in passato, hanno deciso di mettersi in gioco e ce l’hanno fatta.
A cominciare da Gigi e Mirella, due medici milanesi che negli anni Settanta, poco più che ventenni, decidono di partire per l’Uganda dove fonderanno un ospedale pediatrico. Mario conosce molto bene la loro storia, perché sono i suoi zii. Gigi e Mirella prenderanno una decisione apparentemente insensata per due giovani di buona famiglia, eppure nell’immaginario di Calabresi saranno l’esempio fulgido di totale dedizione verso gli altri e di amore per il proprio lavoro, che diventa a tutti gli effetti una missione. Di fronte alle perplessità delle famiglie di origine, a pochi mesi dalla partenza, Mirella scrive una lettera ai suoi genitori che si conclude con queste parole: “Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa”. Una frase che racchiude in sé tutto l’ottimismo di allora e tutta la sconfortante distanza rispetto mondo di oggi.
Ma Calabresi non si limita a riportare gli esempi relativi ai giovani di un passato felice, anzi scova nel nostro tempo molti altri casi di ragazzi che si sono cimentati in missioni coraggiose e apparentemente disperate. Come Elia, il pescatore genovese che lascia la vecchia lampara di suo padre, sulla quale lavora dall’età di 15 anni, per comprare una barca avveniristica che gli consente di abbandonare la pesca alle acciughe, poco redditizia, per pescare polpi, seppie e aragoste. Oppure Bianca, un’aspirante giornalista e blogger di Torino che decide di esportare vino italiano in Cina, o ancora Ugo, che vende cibo di strada in un mercato di Londra, per pagarsi un Master in Comunicazione.
Una lunga serie di esperienze che nei fatti smentiscono l’immagine degli “Sdraiati”. È vero, sostiene Calabresi, che sono venuti al mondo con più privilegi, non hanno sofferto la fame, hanno avuto comodità che nessuno prima di loro aveva mai immaginato di avere, ma è altrettanto vero, aggiunge, che questi ragazzi oggi si ritrovano soli, e spesso incompresi, di fronte a “praterie di incertezza”. Come pionieri alla conquista di nuove frontiere.
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