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Primo libro che leggo della Munro, mi è stato regalato da una persona cara. I racconti non sono necessariamente il mio stile letterario preferito ma li ho trovati molto rappresentativi della vita umana, per quanto, a tratti, alcuni aspetti dei racconti mi siano sembrati esagerati.
Nemico, amico, amante (Einaudi Editore) è il primo libro di Alice Munro (Premio Nobel per la Letteratura nel 2013 per il suo ruolo di «maestra del racconto breve contemporaneo»). Una raccolta di racconti intensi e lirici sullo sfondo di un Canada prismatico, lussureggiante e selvaggio che dà slancio alle vicende narrate in una relazione di mirabolante reciprocità. C'è l’assordante e cruda reazione del paese verso la crescita sociale dell’autore/narratore (Post And Beam); c'è uno scherzo infantile che finisce per influenzare i destini delle persone (Amico, nemico, amante); ci sono un uomo e una donna che dopo una casta relazione adolescenziale si incontrano di nuovo da adulti in una sorta di come poteva essere (Ortiche); c'è il ricordo di un breve legame sessuale che aiuta a sostenere un personaggio per il resto della sua vita (Quello che si ricorda); e c'è la giovane narratrice brillante, un'aspirante scrittrice, che tesse, senza saperlo, la trama di un incredibile romanzo d’amore (Mobili di famiglia). A legare ogni racconto agli altri è la profondità delle interazioni umane. C'è un passaggio ne: Il ponte galleggiante, una storia potente su una coppia, in cui uno dei due protagonisti è appena stato visitato da un medico sui risultati della terapia contro il cancro e che, apparentemente, non ha nulla a che fare con la trama, ma è tremendamente fedele alla vita:
In questa magnifica raccolta della Munro la ripetitiva fatiscenza di case che un tempo erano state ordinate ed eleganti ma appaiono ormai consumate dallo squallore costituisce la metafora dei corpi e delle menti senescenti dei loro proprietari; lʼaccumulazione caotica di cianfrusaglie allʼinterno dei cortili è il correlativo oggettivo della confusione allʼinterno delle teste dei personaggi. Tuttavia, nel sottolineare senza possibilità di redenzione la precarietà dellʼesistenza, nel descrivere senza veli la malattia e la vecchiaia, nellʼannaspare faticosamente alla ricerca di un significato, lʼio narrante non rinuncia alla possibilità o alla speranza che accada «qualcosa», che lʼirrazionalità apra un varco salvifico: magari attraverso la superstizione non religiosa, oppure mediante lʼinspiegabile generazione di gesti — propri ed altrui — insensati ed inconsulti. Anche perché sul mondo aleggia la casualità più bizzarra, cui la ragione non ha i mezzi per imporsi: ed è anche alla luce di questo «rapporto di minoranza» che si affrontano temi come il rapporto tra scienza e fede, la libertà dʼinsegnamento, la selettività della memoria — la quale rielabora il vissuto in modo ora ripetitivo ora diverso, secondo ciò che è più funzionale al mantenimento dellʼequilibrio psichico — la perdita di valore delle «cose» col passare del tempo, la magia non ripetibile di un incontro, il contrasto tra dominatori — presenze minacciose ed inaccessibili — e dominati. Il lettore potrà forse scorgere qua e là, in questi racconti della Munro, involontari (?) punti di contatto con Leopardi, Pirandello e Montale. Indubbia è invece la suggestione esercitata da Orazio, la cui ideologia, sottesa allʼintera opera, viene affermata esplicitamente nel racconto eponimo che apre la raccolta e implicitamente in altre circostanze, come nella menzione delle quartine «oraziane» di Omar Khayyam di cui si legge in «Queenie». I miei racconti preferiti sono «Il ponte galleggiante», «Conforto» e «Post and Beam».
Recensioni
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Nove racconti. Nove lunghissimi, interminabili, estenuanti racconti. Che non si sa bene se siano più angoscianti o noiosi. “Nemico, amico, amante…” di Alice Munro, raccolta edita da Einaudi, è uno di quei libri sui quali, a più riprese, ti interroghi sul perché di quell’acquisto, considerata la pesantezza clamorosa di ogni singola, maledettissima pagina.
La lettura è lenta, claudicante, ti costringe ad un imponente sforzo di volontà per non abbandonarla. L’attenzione quasi maniacale per i dettagli, per il particolare fine a se stesso; i frequenti flash-back che interrompono la storia, rendendola sussultuosa e poco lineare, un linguaggio senza alcuna malizia contribuiscono a definire l’opera come indigesta, inaccettabile, non classificabile. C’è inoltre un senso estremo di tristezza e di morte che alberga in ogni angolo del testo. Scorrendo i personaggi che uno dietro l’altro si avvicendano, abbiamo il bambino morto, il marito malato di SLA, la moglie affetta dall’Alzheimer. E poi ancora un’altra moglie colpita da un tumore, un marito geloso e manesco, la collaboratrice domestica maltrattata. Il quadro che si ricava è quello di una viscerale desolazione che colpisce il lettore, ma in negativo.
Eppure ci sono spunti interessanti che l’autrice avrebbe potuto indagare meglio, costruendovi sopra una narrazione più scorrevole, se solo avesse voluto. Invece, inspiegabilmente, tutto è lasciato a se stesso, in uno stato di abbandono, come le erbacce ai lati della strada. Spuntano qua e là trame bisognose di un’analisi più profonda, ma che al contrario si perdono nella superficialità di alcuni epiloghi piuttosto banali, la cui densità e struttura sono solo accennate. “Il ponte galleggiante” per citarne uno. Il racconto termina nel nulla, senza dare spessore a quel bacio finale tra la donna matura e il ragazzo giovane che pure avrebbe meritato una diversa incursione. Oppure “The Bear Come Over the Mountain”: qui il tema è importante, la malattia mentale della donna che spinge il marito ad un gesto di grandissima intensità emotiva. L’intera vicenda narrata si sarebbe potuto concludere in uno sviluppo diverso, una capacità di racconto empatico che la Munro, già Premio Nobel nel 2013, dimostra di declinare male. Ne è forse causa anche l’utilizzo spasmodico delle descrizioni – di cui abbiamo già detto – e un minimale ricorso ai dialoghi, ridotti a contorni periferici, senza nessun valore. Peccato, perché proprio questi avrebbero di certo reso più potente un libro affacciato su argomenti e orizzonti emotivi comunque rilevanti, ma orfani, a ben guardare, di una adeguata veste letteraria.
Recensione di Alessandro Orofino
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