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Libro candidato da Franco Cardini al Premio Strega 2022
«Questi racconti», afferma Lodovica San Guedoro, «li ho scritti in un certo qual modo per tramandare quello che mi capitava da ragazza, e non solo, quando andavo per le vie del mondo. Il mostro di Firenze, o l'uomo che aveva tutta l'aria di esserlo, anche quello ho conosciuto. Svolgeva l'attività di affittacamere, e io sono stata sua ignara ospite per un pezzetto insieme a mio marito... Questo libro è perciò una piccola rassegna delle molestie sessuali subite principalmente in Italia per la strada, nei cinema, nei parchi, sui bus, prima di espatriare e anche tornando in patria per vacanze. Ma è stato in Germania che, con mia cugina, sono andata vicino alla violenza carnale e sfuggita forse alla morte.» Ventisette racconti, ognuno dei quali è un'incantevole tessitura di ricordi multicolori, sfavillanti di luce e di bellezza, ognuno un episodio di un unico sogno: perché, per una misteriosa e affascinante alchimia dello spirito, il passato si ripresenta agli occhi dell'anima con le movenze fluttuanti ed eteree di un lungo e vasto sogno, e a tal grado si mostra qui l'affinità di vita e sogno da indurre a riguardarlo, il passato, come il sogno già vissuto di quella stessa anima. Una musica apollinea e mozartiana con Leimotiv tuttavia dionisiaco. Una narrazione con un motivo ricorrente, l'insidia sessuale, che riemerge sempre nel bel mezzo o alla fine di una rievocazione. Nel mare di armonia, regolarmente irrompe una dissonanza. Tutti i racconti fatalmente s'incagliano in quel punto. Lo schema è contraddetto solo in tre di essi, significativamente intitolati Dolce Stil Novo (I, II e III). Sono prevalentemente brevi, come scritti su un'unghia, come fiori o farfalle che nascono, vivono e muoiono in poche ore e in quelle attingono alla massima vitalità e bellezza.
Proposto da Franco Cardini al Premio Strega 2022 con la seguente motivazione:
«Ventisette racconti di taglio onirico percorsi da un leitmotiv musicale come una nietzscheano-bucchkardtiana alternanza apolineo-dionisiaca alimentata da elementi autobiografici e autoironici sessuali (molestie sui mezzi pubblici) di gusto cinematografico e con la rivelazione clou riguardante il Mostro di Firenze degna di una Arendt riscritta da Buzzati. Lo ritengo notevole anche per la sua evidentissima antiletterarietà: un libro scritto non certo per vincere premi, magari nemmeno per essere letto e perfino nemmeno per essere pubblicato, bensì come conversazione intima, dialogo monologico. Una ricerca espressiva senza nessuna preoccupazione di piacere, né d’interesse, né di divertire. Un esempio di rien que le récit.»
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