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Anno edizione: 2007
Anno edizione: 2008
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Con questo romanzo Nathan Englander ci immerge nella tragica realtà di Buenos Aires durante il terribile periodo della dittatura, facendoci vivere da vicino il dramma dei "Desaparecidos" attraverso le drammatiche vicende di una famiglia, padre, madre e figlio, di Ebrei argentini. Una storia dura e triste, resa "digeribile" dallo stile originale dello scrittore, capace di rendere la lettura sempre piacevole, interessante e coinvolgente. Englander è efficace nel descrivere il clima di totale insicurezza in cui viveva il popolo argentino in quegli anni, segnati da rapimenti, torture, crudeltà inenarrabili e dai tristemente famosi voli della morte. Assolutamente fantastico poi il suo modo di penetrare le varie manifestazioni dell'animo umano di fronte alla tragedia personale, rappresentate dal modo, totalmente diverso, in cui questa viene vissuta e affrontata dal padre e dalla madre e con le implicazioni che tutto ciò avrà sul loro rapporto. Sicuramente una lettura da raccomandare.
Ottima ricostruzione in forma di romanzo di un periodo vergognoso del Novecento, mai abbastanza ricordato e condannato: la feroce dittatura argentina che negli anni settanta fece sparire migliaia di persone senza un motivo ( ma potrebbe esserci un motivo per farlo? ). Englander ci fa sentire il dolore di quei genitori che non hanno potuto nemmeno recuperare i cadaveri dei propri figli e figlie. Una tortura nella tortura: non sapere cosa sia successo loro, non avere la pur flebile consolazione di un'elaborazione del lutto. Scontrarsi con la lucida crudeltà del potere, della prepotenza di un disegno diabolico purtroppo non così raro in questo sporco mondo. Non c'è speranza in questo libro; da dove tirarla fuori? Ricordo che negli anni della dittatura l' Argentina organizzò i mondiali di calcio, che ovviamente le altre nazionali le fecero vincere! Se l'arroganza del potere arriva a manomettere quello che dovrebbe essere soltanto un gioco, prima o poi arriverà a uccidere non solo le persone, ma anche l'umanità di un intero paese. Lo farei leggere al nostro presidente del consiglio che è riuscito a raccontare una barzelletta anche su questa tragedia, dicendo che i soldati argentini sugli aerei, prima di lanciare quei poveri ragazzi nel vuoto, davano loro un pallone dicendo "Adesso giocate". Il mix di idiozia e stupidità che accompagna alcuni potenti è lo stesso in ogni parte del mondo.
DIFFICILE, DURO, STRAORDINARIO : UN INNO ALL'AMORE TRA GENITORI E FIGLI E ALLA SETE DI GIUSTIZIA.
Recensioni
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Che uno scrittore si prenda otto anni di tempo per mantenere le promesse fatte ai lettori (e all'industria editoriale) è una cosa bella, spiace solo che non capiti più spesso. Del resto otto anni di ricerca e scrittura non sono molti per fare i conti con gli otto anni della dittatura argentina, se si pretende di andare al di là dell'indignazione, della retorica e della fascinazione morbosa. Ma come parlare allora, si dev'essere a lungo chiesto Englander balzato alla notorietà con il successo del libro d'esordio Per alleviare insopportabili impulsi (Einaudi, 1999) , di eventi che siamo abituati a considerare ormai lontani e risaputi, ma che a ben pensarci non lo sono affatto. Sia perché le conseguenze della scomparsa di una generazione di intellettuali e di professionisti ha conseguenze ancora ben evidenti, sia perché i responsabili di quei crimini in massima parte non sono stati puniti (e le madri che da venticinque anni ogni giovedì sfilano in Plaza de Mayo, e a cui il libro è idealmente dedicato, testimoniano entrambe le cose). E poi, se è vero che libri come Il volo e film come La notte delle matite spezzate o Garage Olimpo hanno descritto in modo crudo ed esplicito il destino dei giovani rapiti dalla polizia segreta, molto resta ancora da dire e da capire sul percorso esistenziale di tutti coloro che da quegli eventi furono coinvolti, in primo luogo i genitori dei desaparecidos.
L'apparato burocratico-terroristico della junta era un meccanismo infernale, di cui il ministero dei Casi speciali diventa in questo libro il luogo emblematico: l'evidenza si rovesciava nel suo contrario, i confini fra la vita e la morte si smarrivano e la scomparsa di ogni certezza diventava la tortura più selvaggia. Un apparato che non si può che definire kafkiano. Non c'è quindi da stupirsi se dietro la Buenos Aires narrata da Englander si legge in filigrana la Praga (nonché, ovviamente, l'Amerika) di Kafka. A partire dalla prima pagina, in cui il protagonista Kaddish si aggira di notte fra le lapidi fitte e sbilenche di un camposanto che sembra il vecchio cimitero ebraico di Staro Město e invece è il cimitero della Società dell'Impulso Generoso, luogo di sepoltura di prostitute e ruffiani ebrei rinnegati dalla propria comunità, ma pur sempre ebrei.
E se dopo questo incipit la prima impressione è quella di avere a che fare con un libro fin troppo letterario, l'impressione dura poco. Del resto, perché trovare artificioso il fatto che un personaggio destinato a incarnare il lutto si chiami Kaddish e uno destinato a patire le peggiori sevizie si chiami Pato, se poi si scopre che il giorno del colpo di stato, il 24 marzo 1976, la radio trasmetteva la colonna sonora del film La Stangata (in spagnolo: El Golpe), e che i rapaci predatori della polizia segreta andavano a rapire le proprie vittime a bordo di una Ford Falcon? Il fatto è che la letteratura sembra qui davvero lo strumento giusto per raccontare l'immane sciagura del regime militare argentino.
Lo sguardo che Englander rivolge alla sua materia, uno sguardo terribilmente serio e terribilmente comico, non è infatti quello della passione civile, bensì quello, squisitamente letterario, di una purissima, asciutta compassione, acuita dalla scelta di concentrarsi soltanto sul microcosmo di una singola famiglia, quella del "figlio di puttana" (in senso stretto) Kaddish Poznan, di sua moglie Lilian e del loro unico figlio Pato.
"Il governo sta facendo pulizia, e quando avrà finito, le cose potranno solo migliorare. Vedrai, questo paese sta diventando più sicuro". È questo il primo commento di Kaddish all'indomani del golpe, quando i primi ragazzi cominciano a sparire. E già solo per questo Kaddish, insieme a tanti altri compatrioti, sarebbe non solo una vittima, ma anche un complice di Vileda e dei suoi generali. Però la riflessione di Englander scende più nel profondo, perché a modo suo Kaddish (e, seppur in misura minore, anche Lilian) si macchia di quello che Englander pare considerare il più atroce fra i crimini argentini: l'obliterazione della memoria. Il lugubre e bizzarro mestiere del protagonista consiste infatti nel cancellare a colpi di scalpello i nomi dei defunti dalle lapidi del cimitero della Società dell'Impulso Generoso. I loro figli e nipoti pagano Kaddish perché li vogliono dimenticare, li vogliono letteralmente cancellare dalla storia, ed è esattamente la stessa cosa che vuole fare il regime militare attraverso i rapimenti nel cuore della notte, i luoghi di detenzione clandestini, i voli notturni sul Rio della Plata, le adozioni illegali dei bambini nati in prigionia e soprattutto l'inferno burocratico del ministero dei Casi speciali. Ma non basta. Per un intreccio di circostanze piuttosto complesse, Kaddish e Lilian finiscono per farsi rifare il naso da un chirurgo estetico, rimuovendo così dal proprio stesso volto il segno più evidente della loro identità ebraica, nonché il tratto fisico che più li legava allo scomparso figlio Pato.
Anche in questo romanzo (come già nei racconti di Per alleviare insopportabili impulsi) la riflessione sull'essere ebrei è centrale, perché nella storia del popolo di Israele la memoria è tutto, e perché tante cose nella vicenda argentina richiamano pogrom e olocausti passati. Si veda a questo proposito la scena del rogo dei libri di Pato, che Kaddish brucia nella vasca da bagno nel patetico tentativo di preservare l'innocenza del figlio. È un ennesimo attentato alla memoria, anche perché per Pato, figlio di un figlio di puttana, i libri costituiscono una genealogia alternativa: "Pato ricostruiva così la propria discendenza. Era un modo di dimostrare da dove veniva". Tanto più che si tratta di un gesto del tutto superfluo, in un momento in cui l'intero paese è travolto dall'"ondata degli innocenti ammazzati".
Ma l'apice dell'ignara complicità di Kaddish si ha al momento dell'arresto di Pato, che avviene proprio quando il padre ha appena finito per scagliare sul figlio la più virulenta delle maledizioni: "Vorrei che tu non fossi mai nato". Come un demonico deus ex machina, la polizia segreta si affretta a esaudirlo, e da quel momento sarà come se Pato non fosse mai nato. Comincia così l'andirivieni dei due genitori fra stazioni di polizia e uffici del ministero, case di rabbini e ville di generali, nel sempre più vano sforzo di conoscere il destino del figlio. Finché, con il procedere della vicenda, le loro reazioni si polarizzeranno ai due estremi opposti della scala del lutto. Da un lato Kaddish si convince della morte del figlio e non desidera altro che dargli sepoltura (arriverà a seppellire in sua vece il cranio, trafugato da un sepolcro, del suocero di un generale della giunta), dall'altro Lilian non può rassegnarsi, e desidera solo una cosa: far vivere per sempre Pato attraverso il suo rifiuto di accettarne la morte ("Capì che dipendeva da lei farlo tornare a esistere. Era come essere incinta di un figlio adulto"). Due modi di ricordare e dimenticare al contempo, due strategie entrambe perdenti, entrambe rispettabili, entrambe disperate. Due impossibili sforzi di suturare una ferita che non smette di sanguinare.
C'è in questo rispecchiamento fra l'oblio di cui si fa operatore Kaddish e l'oblio promosso dal regime un rispecchiamento che è forse il vero cuore del romanzo qualcosa di grottesco e di infinitamente doloroso, un implodere della tragedia nella carne stessa di quelle che sono vittime e insieme complici dei torturatori. Ed è da parte dell'autore un tentativo di penetrare con la scrittura al di là della superficiale patina di orrore che è la prima reazione di fronte a vicende come quella argentina. Un tentativo riuscito, grazie soprattutto alla qualità di una scrittura (cui la traduzione rende bene giustizia) in cui accanto agli echi di Kafka si percepisce tutta la ricchezza della genealogia letteraria ebraico-americana da Singer e Malamud a Bellow e Roth , nonché l'eredità della speculazione distopica che da Orwell giunge a Saramago, magari passando per Borges.
Norman Gobetti
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