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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2018
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Patrick Ness sa sempre come trattare con delicatezza e con la giusta importanza i problemi degli adolescenti ed in questo romanzo non è da meno. L'ho letto tutto d'un fiato e lo consiglio vivamente a tutti.
"The Rest of Us Just Live Here" è un romanzo di formazione che prende di mira gli stereotipi del genere hurban fantasy mettendo al centro della narrazione i personaggi che solitamente si trovano sullo sfondo, mentre gli eroi (qui chiamati genericamente "indie kids") sono impegnati a salvare il mondo da minacce aliene e soprannaturali. «He doesn't see us-the indie kids never really see us, not even when we're sitting next to them in class [...].» La trama segue le ultime settimane di liceo per quattro amici, mentre la sottotrama fantasy ci narra dell'invasione ad opera dei malvagi Immortals; a differenza di ciò che mi sarei aspettata, le vite dei protagonisti si trovano spesso influenzate dall'altra storyline, dimostrando come spesso nelle storie fantastiche (siano essere raccontate nei libri o mostrate nei film e nelle serie TV) si tenda a dimenticare le morti o gli incidenti collaterali alle persone comuni. Voce narrante della storia è il diciassettenne Michael "Mike" Mitchell, affetto da una forte ansia che sfocia in comportamenti ossessivi compulsivi: si trova bloccato in loop insensati a causa della tensione causata dalla prospettiva di dover lasciare ciò che conosce in termini di persone e luoghi per cominciare il percorso universitario. Sono rimasta positivamente colpita dal modo in cui la sua condizione viene affrontata, sia da lui che chiede aiuto agli amici e alla famiglia, «"I know", I say. "I've been getting stuck in these kind of...loops lately and it's getting harder and harder to get out of them." "Even when it's hurting you?" "Even when I know it's stupid. [...] actually makes it worse."» sia dalla madre che subito decide di mandarlo da un professionista fidato, sia dal medico che affianca alla terapia dei medicinali. Allo stesso modo, il disturbo alimentare della sorella "Melinda" Mel non viene trattato in modo superficiale, e risulta molto positivo per il target di riferimento come lei cerchi il supporto del fratello anziché nascondergli il prob
Ciò che mi ha colpito maggiormente all’interno dell’intero romanzo è proprio il modo in cui Patrick Ness è riuscito a intrecciare temi molto delicati come disturbi alimentari,religione e sessualità. Trattare temi del genere,evitando di risultare noioso e pesante,è sempre difficile per uno scrittore per ragazzi ma Patrick Ness è riuscito a dimostrare come la sua semplice e diretta penna sia degna di nota. Una lettura che consiglio a tutti ma soprattutto ad un pubblico più giovane.
Recensioni
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Il 2018 è stato un anno piuttosto ricco di novità interessanti, per quanto riguarda l’editoria young adult. Prima di soffermarmi in particolare su alcuni titoli, due brevissime considerazioni di carattere generale: in primis, sebbene il mondo anglosassone rimanga il riferimento ineludibile per chi cerca storie potenti, che parlino da sole e non attraverso il filtro di un tema scelto a tavolino, il panorama del 2018 può allargarsi anche ad altre frontiere e individuarne alcune anche nel nostro paese. Secondariamente, prosegue un trend iniziato negli ultimi anni, che vede una certa predilezione per storie realistiche, familiari, a discapito dei vari filoni emersi a inizio decennio, come quello delle distopie o della cosiddetta letteratura sick-lit.
Inizierei quindi con due titoli che mi pare abbiano in comune la caratteristica di poter accompagnare i giovani lettori nel tragitto accidentato verso la letteratura adulta: parlo di due libri editi da San Paolo, L’isola del muto, di Guido Sgardoli (vincitore del premio Andersen) e L’alba sarà grandiosa di Anne-Laure Bondoux. Due epopee familiari che sviluppano l’intreccio attraverso varie generazioni. Il primo racconta la storia di una famiglia, i Bjorneboe, i cui membri hanno – per due secoli – l’incarico di guardiani del faro in una piccola isola norvegese: attraverso duecento anni di storia, Sgardoli ricostruisce non solo le loro vicende immaginarie, ma anche quelle del luogo che li ospita e del paese da cui sono governati, come a dirci che a seconda del contesto in cui si vive cambia l’idea stessa che si ha di famiglia, legami, affetti. La seconda, invece, è una storia incentrata sul rapporto madre-figlia in cui la seconda, inconsapevole fino ai sedici anni, scopre in una sola notte (fino a una grandiosa alba, appunto) la vera storia della sua famiglia e conosce una nonna e due zii di cui ignorava l’esistenza. Bondoux sembra interrogarsi molto sul tema della scelta, a un duplice livello: quello delle azioni concrete da compiere e quello della trasmissione della storia familiare. Che cosa è giusto tramandare ai figli, e soprattutto, quando? Venire a conoscenza dei segreti di famiglia non è un modo di diventare adulti che deve essere vissuto né troppo presto né troppo tardi? Anche il nuovo romanzo di Allan Stratton, Un viaggio chiamato casa (Mondadori), si muove con grazia nel territorio delle relazioni domestiche e dei segreti di famiglia e ci regala un rapporto nonna-nipote che, per quanto non nuovissimo nei topoi della letteratura per ragazzi, fa breccia nel cuore del lettore per la profondità e il realismo, anche crudo, con cui è ritratto.
È assai interessante notare come anche quando si sconfina oltre le barriere del realismo propriamente detto, i titoli più originali che incontriamo sono romanzi che in qualche misura costituiscono un inno all’adolescenza media, quotidiana, profondamente ordinaria anche se messa in scena in contesti extra-ordinari: penso a Paesaggio con mano invisibile di Matthew Tobin Anderson (Rizzoli), in cui la terra è stata consegnata volontariamente a una razza aliena, i vuuv, che non hanno mantenuto alcuna delle promesse iniziali e hanno ridotto il pianeta alla miseria e alla dipendenza economica. I vuuv però sono presenti nel romanzo quasi unicamente come spettatori: riproducendosi per gemmazione, sono attratti dalle storie d’amore che non vivranno mai. Adam, il protagonista, vende ai vuuv la sua storia d’amore, sostentando così la sua famiglia, ed è costretto a proseguire la messinscena anche quando l’amore finisce. Penso a Spontaneous, di Aaron Starmer (Dana) in cui una comunità di adolescenti deve fronteggiare un’emergenza: uno dopo l’altro, alcuni di loro esplodono, letteralmente, per autocombustione, mentre gli altri, con l’apocalisse che incombe e con la prospettiva di sparire da un istante all’altro, vivono la più tradizionale delle adolescenze: feste, musica, innamoramenti. E penso a Mentre noi restiamo qui, di Patrick Ness (Mondadori), in cui la crescita di Michael, costellata di tutte le paure e le difficoltà di ogni adolescente, è inserita in un contesto post-apocalittico. David Almond, poi, da sempre attento al mito, ne riscrive uno, quello classico di Orfeo e Euridice, facendoli rivivere in due adolescenti inglesi (La canzone di Orfeo, Salani).
Degni di attenzione, per motivi diversi, mi sono parsi anche Mosquitoland, di David Arnold (Rizzoli), Jonas e il mondo nero di Francesco Carofiglio (Piemme) e L’unico ricordo di Flora Banks di Emily Barr (Salani).
Che cosa dovremo attenderci per il 2019? La prosecuzione di questa tendenza o un ritorno in auge del fantasy classico? L’autrice di una delle ultime uscite dell’anno, Figli di sangue e ossa (Rizzoli), la giovanissima Tomi Adeyemi, è salutata come “la nuova Rowling”. Appuntamento tra dodici mesi!
di Matteo Biagi
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