Il professore e il Vichingo, vecchi amici di Trastevere, decidono di andare lontano lontano («I pensionati in Italia se ne vanno tutti, che non lo sai?»). Raccogliendo informazioni, incontrano Attilio, coetaneo, mezzo robivecchi mezzo antiquario con baracca a Porta Portese. Anche a lui l'idea piace, non per nulla definisce se stesso «un cittadino del mondo». I preparativi per la partenza sono movimentati: ogni esistenza, per quanto appartata, presenta mille legami da lacerare, fatti, luoghi, persone. Nel corso dei quali gli avventurosi si accorgono di cose che, nel tran tran dell'insoddisfazione quotidiana, non riuscivano a notare. A ben guardare, quel quotidiano tanto male non è. Si è cementata un'amicizia divertente, la città splendida in fondo è anche benevola, càpitano incontri che promettono un futuro. Il problema è come fare a tornare indietro sulle decisioni senza perdere la faccia. Da questo racconto il film, regia dello stesso Di Gregorio, Lontano lontano. Aiòn è la prima storia del trittico. Il titolo è una parola del greco antico di spessore filosofico: Aiòn è il figlio di Crono, il Tempo, e sta per l'«attimo» fuggevole che frantuma il presente, il «tempo eterno», la «durata». «Aiòn è un bambino che gioca» è un frammento di Eraclito. Nel racconto di Di Gregorio il protagonista è un cinquantenne figlio di mamma che ha vissuto tutta la vita come se il suo tempo fosse l'eterno, senz'altro impegno che di occuparsi in modo pressante della madre. Cosa rimane? Il secondo racconto, Incantesimo, parla di un equilibrio che sembra passeggero che più non si può. In un paesino tranquillo alle porte di Roma vive una madre, sora Maria, con i due figli grandi (le sorelle se ne sono andate da tempo), Virgilio ed Emilio. Famiglia benestante, i figli hanno la loro sicurezza economica, la madre è una vera autorità morale per tutto il paese, un riferimento di saggezza. Tutti si aspettano che Virgilio ed Emilio, che dormono nella stessa camera come fanciulli, si facciano una propria vita. Sora Maria fa molto per evitarlo. Ma quell'equilibrio è un incantesimo che non si può spezzare senza che il mondo crolli. Di Gregorio ci parla di situazioni strane e verosimili, pescate dall'infinito repertorio della vita osservata. E coglie della forma racconto la vera funzione: trarre un significato, un destino, una beffa da una vicenda che succede.
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