Camillo Sbarbaro è stato un poeta e prosatore italiano. Visse quasi sempre in Liguria; lavorò prima in un’industria siderurgica, poi insegnò greco e latino fino a quando dovette lasciare l’insegnamento per aver rifiutato di iscriversi al partito fascista. Fu erborista di fama internazionale: le sue raccolte di licheni furono acquistate da musei europei e americani. Nel ’51 si ritirò con la sorella a Spotorno; ma si spense nell’ospedale di Savona. Esordì con le poesie di Resine, del 1911, ma si affermò con Pianissimo (1914), che attirò l’attenzione della critica e gli aprì un periodo di intensa collaborazione a riviste come «La Voce», «Quartiere latino», «La Riviera ligure». Seguirono le prose di Trucioli (1920) e Liquidazione (1928), caratterizzate da un frammentismo e da una ricerca espressiva, fra lirica e narrativa, tipici degli scrittori «vociani». Nel dopoguerra pubblicò altri volumi di prose, dai titoli emblematicamente riduttivi (Fuochi fatui, 1956; Scampoli, 1960; Gocce, 1963; Contagocce, 1965; Cartoline in franchigia, 1966, che rievoca l’esperienza della guerra). Pubblicò anche due raccolte di poesie, Rimanenze (1955) e Primizie (1958), queste ultime anteriori per epoca di composizione a Pianissimo: tutte poi confluirono nel volume Poesie del 1961. Fu anche autore di traduzioni dal greco (Euripide) e dal francese (Flaubert e Huysmans).Se nelle prime prose è presente tutto il vigore dell’espressionismo e del moralismo della «Voce», nelle liriche il disagio esistenziale si stempera in una passiva osservazione della vita che si traduce in un singolare registro narrativo e in un linguaggio antioratorio, fissato su tonalità sommesse, tese a restituire una «verità» psicologica e morale. Sul piano tematico, accanto a un certo «maledettismo» di stampo rimbaudiano e baudelairiano, convive il richiamo alla tradizione carducciana e pascoliana per dar vita a una poesia paesaggistica (Rimanenze) tipica della letteratura ligure.