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La labilità è la propensione dello scrittore che trasmette alla realtà le visioni di sogno che gli attraversano la mente: che cosa è vero? che cosa è sogno? Tutto. La falsariga pirandelliana rispecchia il rapporto tra il giovane scrittore Gamurra e il maturo autore di romanzi. Negli spiragli del racconto compare anche il Pontiggia de “Il giocatore invisibile”, ma tutto convoglia ad un egocentrismo disperato che si esprime nella ricerca del sé. Sono sconvolgenti le pagine di alta poesia e profondità nella descrizione della notte sulla Nomentana (capitolo 12) dove si completa il tormentato racconto delle istanze interiori e della realtà trasognata che imprigiona l’anima. Sono pagine di alta letteratura che danno senso a tutta l’opera, piena di echi poetici e di tradizione di canzoni napoletane. È più che moderno, è all’avanguardia. Letteralmente sublime... Carla Mayrhofer
Libro molto bello, a volte onirico a volte molto reale. reale nel senso che sa di storia possibile, di tutti i giorni, non frutto di una immaginazione "reale". Pecca un pò nei momenti di vuoto, in cui il romanzo dovrebbe rilassare il lettore, ma la storia, riesce a appassionare.
...per scrivere un libro penso che si debba avere qualcosa da raccontare, in questo caso Starnone non aveva nessun motivo per scriverne uno. Non salvo niente, neanche l'esercizio di stile consistente nello scrivere sul nulla...un libro che fatico a leggere...fastidioso.
Recensioni
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Con Via Gemito, Labilità fa dittico: il dittico delle origini. Nel primo romanzo, Starnone interrogava le sue origini "territoriali" e biologiche; in quest'ultimo le sue origini di scrittore. Come nasce una vocazione? E come la si racconta, quando la si è dispiegata in libri e in articoli e in sceneggiature?
Nel racconto di Starnone c'è un gesto che retrospettivamente gli sembra l'annuncio di un destino espressivo: l'io narrante si ricorda di quando, da bambino, collezionava le figurine dei calciatori e di quanto fosse rara quella di Boniperti e come lui la "sostituisse" con una figurina da lui disegnata e come, infine, la facesse vedere ai suoi amici come se davvero fosse la vera effige di Boniperti. Se qualcosa mi manca, insomma, me la riproduco da me e do alla mia riproduzione l'equivalenza della realtà che non ho. Questo dettaglio cade nel libro come una goccia che produce i suoi cerchi concentrici nel bacino della narrazione. Cerchio dentro cerchio, Starnone segue il suo se stesso narrato con precisione di linguaggio e con particolari sempre precisi e ben collocati.
Autobiografia di uno scrittore? No, piuttosto romanzo dell'autobiografia di uno scrittore. Starnone usa se stesso come una cava da cui estrapolare i materiali che servono a comporre il romanzo. Tra lui e la storia raccontata c'è uno scarto che permette di tenere ben fermo e orientato il timone del romanzo. La scrittura è asciutta, la narrazione precisa, il tono di voce non si rompe. Il presente del libro è la Roma della letteratura, fatta di presentazioni, conferenze e giovani scrittori che emergono all'improvviso e s'impadroniscono della scena; il passato – la memoria – è Napoli, con gli stessi personaggi di Via Gemito, il padre e la madre, qualche compagno di scuola e di giochi, la città vociante e aggressiva, che segue l'io narrante come un rigurgito spiacevole ma inevitabile. Ma se nel libro precedente, Napoli era raccontata frontalmente, qui è vista di scorcio, e compare per squarci efficaci.
L'io narrante scrittore ha una moglie, Clara, che teme la sua scrittura come se fosse una forma di malattia e la conferma della labilità del marito. Preferisce che continui il periodo di stagnazione in cui vive, piuttosto che vederlo imbarcarsi in un'avventura che lo porterebbe di sicuro a perdersi, non si sa bene per quale ragione. Lui scrive quasi di nascosto, finché lei non deve partire per un viaggio che la terrà lontana da casa per qualche mese. I dialoghi tra moglie e marito sono molto ben scritti e fanno pensare per l'intonazione malinconia venata di ilarità al Pontiggia di Nati due volte (e anche il tema della labilità/disabilità sembrano portare con sé qualche ricordo di quel libro).
Mentre la moglie è via (ma i primi incontri avvengono quando Clara non è ancora partita), lo scrittore vede una giovane donna (Nadia), anch'essa appartenente al mondo delle lettere. Lo scrittore è attratto da lei (e lei lo ricambia), ma ha cominciato a scrivere dopo tempo un nuovo libro. Se ne sta a casa da solo, e scrive o fantastica. La chiamo o no, pensa. A volte la chiama, altre no, preferisce le sue parole (che noi leggiamo mentre le scrive) al contatto con la donna. All'orizzonte è comparso un inquietante giovane scrittore, che dice di ispirarsi ai suoi libri. Ha un dattiloscritto che presto si trasformerà in un libro di successo. A lui quel dattiloscritto non piace, e non capisce cosa abbia tratto davvero dai suoi libri. Però la presenza enigmatica di questo giovane lo stimola, forse ha ripreso a scrivere anche perché è apparso lui. Tra le parole dello scrittore anziano compaiono le iniziazioni: allo scrivere, al sesso, alla città, ai genitori, alle disillusioni, alla fuga dalla sua città-madre e alla sua rimozione.
La storia che leggiamo comincia a slittare, il timone non è più così fermo come nelle prime duecento pagine. Cominciano ad apparire i genitori sotto forma di fantasmi, abitano con il figlio nella casa romana. Il tono di voce cambia. E si ha l'impressione che l'autobiografia si faccia più pressante, il romanzo deperisce. Cosa succede, ci si chiede. La stessa storia con Nadia si affloscia e al ritorno della moglie (che si decide a tornare a casa, dopo aver saputo della relazione del marito e aver scelto di rimanerne lontano ancora per un po') tutto sembra tornare al punto d'origine. Il libro si conclude con elogio dell'imperfezione di ogni gioco. Ed è difficile sottrarsi all'idea che un buon libro finisca in un modo piuttosto labile.
Viene da pensare a un altro finale deludente di un libro ottimo: I giorni dell'abbandono di Elena Ferrante. Nei mesi scorsi un giovane italianista, paragonando Via Gemito a L'amore molesto, libro d'esordio di Ferrante, ha sostenuto che la misteriosa autrice napoletana potesse essere proprio Starnone. Mi è stato chiesto un parere su quest'ipotesi. E ho detto che, pur non avendo curiosità di conoscere chi sia Ferrante, mi sembrava più plausibile di altre fatte in passato. E ho aggiunto che per dare una maggiore credibilità a quest'ipotesi, bisognerebbe aggiungere al nome di Starnone quello della sua compagna Anita Raja. La cosa curiosa è che Labilità (dedicato ad A. R.) fa pensare più volte, proprio nelle zona dei fantasmi, alla Ferrante di L'amore molesto, laddove la madre morta visita la mente della protagonista sotto forma di visioni (anche in quel caso non si trattava delle parti più felici del libro).
Ma torniamo al finale di I giorni dell'abbandono, affidato all'avverbio "quietamente". Dopo aver toccato il fondo della disperazione la donna abbandonata dal marito, si aggrappa a un uomo qualsiasi con il quale vivrà quietamente il suo futuro. È una giravolta improvvisa, forse arbitraria, forse invece il segno di una convinzione molto ben radicata, forse non dissimile dalla chiusa di Labilità (in entrambi i casi si tratta di dialoghi): "'Di me ti ricordi', le chiesi?. 'Disgraziatamente sì'. 'Io ci sono'. 'Anch'io'. 'È questo che rende imperfetto ogni gioco, ma va bene così'".
Questo "va bene così" sembra una rima romanzesca di quel "quietamente".
Ciò significa che mi sono davvero convinto che Starnone e Raja siano davvero Ferrante? No di certo. Non ho addotto nessuna prova (e le prove dovrebbero essere stilistiche e non solo tematiche), solo delle consonanze, solo delle assonanze, solo delle spie di quanto stia cambiando un autore come Starnone da quando ha deciso d'interrogare le origini.
Silvio Perrella
Il mondo della scrittura e un autore maturo sono i protagonisti di questo nuovo romanzo di Domenico Starnone, che ritorna sulla scena letteraria dopo l'eccezionale successo di pubblico e di critica conquistato dal suo ultimo romanzo Via Gemito, che gli valse il Premio Strega.
La vicenda, animata di presenze reali e visionarie, si muove su due piani, uno reale e uno immaginario, e racconta i fantasmi che popolano la mente dello scrittore alle prese con il foglio bianco, evidenzia l'incertezza di confine tra ciò che è vero e ciò che è sognato. La commistione tra realtà e finzione, tra concretezza e illusione, è rappresentata anche dal titolo del libro: labilità, termine che, per lo scrittore napoletano, sta ad indicare la facilità con cui "slittiamo" da una dimensione a un'altra, fra sentimenti, età e rappresentazioni differenti di noi stessi. Labilità che, grazie a un gioco di parole, significa anche l'abilità di trasformare la finzione in realtà, di concretizzare pensieri e sentimenti in parole, la qualità più importante di uno scrittore. Come da bambini si gioca a fingersi altro da quello che si è (il protagonista lo battezza "il gioco dell'imperfetto": io ero il capitano, tu il nostromo) così da adulti e artisti si continua a giocare, avventurandosi nei territori dell'immaginazione creativa. Ma fino a che punto si può rischiare di confondere le due dimensioni? Lo proverà sulla sua pelle il maturo scrittore, protagonista e allo stesso tempo narratore della vicenda. Una profonda crisi di creatività paralizza il suo lavoro e vari elementi la aggravano: l'incontro con uno scrittore esordiente lo scoraggia (soprattutto quando il giovane con la sua opera prima raggiunge il desiderato successo), il rapporto con la moglie è compromesso dalla presenza di un'amante, anche lei scrittrice, tanto inquieta quanto appassionata; le lunghe giornate trascorse in solitudine al tavolo di lavoro lo estraniano da tutto, mentre il ritorno della madre e del padre dà inizio a una tesa convivenza. Questo malessere del protagonista si popola ben presto di fantasmi, creature animali, entità del passato che in un turbinio di visioni lo travolgono rendendo sempre più confusi i confini della vita, del tempo e dell'identità.
Fluida come lo scorrere ininterrotto dei pensieri, appassionata come l'affollarsi prepotente dei sentimenti, la narrazione di Domenico Starnone si concretizza in un romanzo di grande intensità emotiva che ripercorre le tappe di una travagliata storia interiore e racconta i fantasmi che la abitano. Un libro che si inoltra nel mondo al limite tra realtà e finzione che alimenta la creatività di uno scrittore.
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