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Splendida introduzione e interpretazione "non-pop" di Nietzsche
Vattimo, oltre ad essere uno straordinario filosofo, è un grande "divulgatore". Questa sua introduzione a Nietzsche è ottima e ben fatta, completa, non un semplice accumulo di nozioni, ma si snoda in un percorso dinamico tematico. L'interpretazione vattimiana di Nietzsche, perché questa introduzione è anche un tentativo di interpretazione, è bene precisarlo, è ampiamente influenzata dall'interpretazione heideggeriana. Questa impostazione potrebbe essere "interpretata" come un limite, ma potrebbe anche essere il segno, come io credo, di un'impossibilità di rapportarsi aNietzsche in maniera neutra, asettica.
Recensioni
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(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)
recensione di Revelli, M., L'Indice 1985, n. 4
Questo Nietzsche vattimiano è, senza dubbio, vattimescamente simpatico. Certo più simpatico e accattivante di quello emergente dalla lettura diretta dei testi. Critico della società, tollerante precursore di un inquieto pluralismo etico (di una sfavillante "policromia del mondo morale"), relativisticamente impegnato nella dissoluzione dei vecchi dogmi metafisici e persino democraticamente intento alla contemplazione del libero gioco ermeneutico, esso riflette, in forma resa più unidimensionale, dal taglio sintetico e introduttivo del volumetto laterziano, l'immagine del "filosofo della liberazione" già presentata ne "Il soggetto e la maschera" (Bompiani 1974).
La scelta, esplicita, è anche qui quella di leggere l'intera produzione nietzscheana in chiave di "ontologia ermeneutica": radicalizzando l'impostazione heideggeriana e cogliendo in Nietzsche il filosofo impegnato a formulare enunciati rilevanti sul "senso dell'essere" (chiave ontologica) a partire da una radicale critica della cultura e dell'esistenza (decaduta) colta nella "sua concretezza e storicità" (chiave ermeneutica). Ponendo, quindi, il suo pensiero come momento significativo di quel percorso che, a partire da Schleiermacher, attraverso Dilthey, lo storicismo tedesco, Heidegger e Gadamer, giunge fino agli esiti ultimi dell'esistenzialismo contemporaneo. Intorno a questa chiave di lettura (e scegliendo di trattare in un capitolo separato le numerosissime interpretazioni alternative) viene organizzato l'intero percorso intellettuale nietzscheano, secondo un nesso di continuità e di complementarietà tanto rigoroso da apparire, a volte, persino inquietante in un pensatore dalla forma contraddittoria asistematica come Nietzsche. Così le tradizionali fasi della periodizzazione nietzscheana (che Fink definisce "romantica", "illuministica" e dell'"annuncio" e che Vattimo riconduce alle "opere giovanili" all'epoca del "pensiero genealogico e decostruttivo" e alla "filosofia dell'eterno ritorno"), sono attraversate tutte, con crescente grado di profondità dalla medesima tensione alla "critica della cultura" e dell'esistenza ma, soprattutto, dal medesimo bisogno di liberazione, in un tempo storico che rende ciò possibile e necessario. Istanza di liberazione incarnata, di volta in volta, dal "ritorno della tragedia" come condizione di liberazione dal e del dionisiaco; dalla pratica decostruttiva di tutti i valori e quindi dalla rottura del dispotismo della morale e, più in generale, delle potenze metafisiche incarnate nell'essenzialità degli elementi ultimi; o, infine, dalla redenzione dall'angoscia del tempo, conquistata con lo Zarathustra e con l'approdo all'immagine di una società non ossessionata da criteri sostantivi di "normalità", in "un mondo dove non vi sono fondamenti ed essenze, e l'essere è riportato a puro accadimento interpretativo".
Un Nietzsche, dunque, apparentemente riconciliato. Per giungere al quale, tuttavia, l'interprete è costretto, lungo l'intero percorso, a una fitta serie di understatements, di ammorbidimenti e moderazioni, assorbendo continuamente il tono "forte" dell'autore entro le trame di un modello "debole" fino a costituirvi una sorta di contrappunto. Cosi il radicale anti-razionalismo della "Nascita della tragedia", l'odio antisocratico, è ricondotto, ultima istanza, a una "estremizzazione dello stesso bisogno di razionalità della mentalità scientifica", non necessariamente votata alla mitologizzazione radicale e conciliabile con la successiva fase "illuministica" di "Umano troppo umano". Così ancora il nichilismo della fase decostruttiva è risolto come "modello di pensiero non fanatico, attento alle procedure, sobrio, 'obiettivo' solo nel senso che è capace di giudicare fuori dal più immediato premere degli interessi e delle passioni, mentre la "morte di Dio", sterilizzata al suo pathos tragico, diviene il naturale esito di un'epoca che, grazie alla sicurezza raggiunta, non ha più bisogno di Dei n‚ della violenza ad essi inevitabilmente connessa. Così, infine, l'intera parte conclusiva, dedicata a un'attenta ricognizione delle contraddizioni nietzscheane relative al rapporto tra eterno ritorno e decisione, alla tematica del superuomo e della volontà di potenza, finisce per dissolvere, praticamente senza residui, la politica di Nietzsche entro la sua estetica (per teorizzare, anzi, Nietzsche come dissolutore del "politico"), cancellandone di fatto tutta carica elitistica, gerarchica, autoritaria apertamente in contraddizione con l'immagine del filosofo della liberazione universale.
Certo, le asprezze nietzscheane non sono taciute. Egli resta pur sempre il teorico della forza e della "salute" - forza e salute, Vattimo lo afferma con nettezza, fisiologiche, legate alla corporeità e alla natura - l'apologeta del dominio, della sofferenza e della crudeltà della vita. Ma la cosa diviene relativamente poco rilevante, essendo comunque prevalente - secondo la lettura proposta - su quella costruttiva la dimensione decostruttiva che non può - se si assoggetta il testo nietzscheano alla medesima forza ermeneutica da esso teorizzata - non dissolvere, insieme alla morale e alla religione, la sua stessa politica, trasformando il superuomo (anzi l'"oltreuomo") in un curioso sperimentatore di forme e lasciando sopravvivere solo l'arte "come luogo privilegiato, sede del definirsi un'alternativa 'positiva' (sana, forte, ecc.) di esistenza per l'uomo".
L'effetto - inutile nasconderlo - è una sorta di vertigine ermeneutica; di (piacevole a volte) spiazzamento che finisce per far intravedere, oniricamente, un Nietzsche evanescente più tra lo smog di Manhattan che tra le forti arie di Basilea. Il che non significa naturalmente, che, in qualche modo, Ciò lo danneggi.
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