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Nel campo degli studi dedicati alle maggiori tragedie del Novecento la riflessione sul Metz Yeghern (grande male) ovvero sul genocidio subito dal popolo armeno nel 1915-1916 occupa ormai un posto di rilievo secondo soltanto all'insieme di studi dedicati alla Shoah. Testi storiografici come quelli di Yves Ternon e Taner Akcam testimonianze come quelle di Jacques Rethore e Fayez el Ghossein e romanzi come La masseria delle allodole di Antonia Arslan ne rappresentano altrettanti aspetti. A essi opportunamente si aggiunge ora la pubblicazione degli atti del processo a Soghomon Tehlirian il giovane armeno che nel marzo 1921 a Berlino uccise con un colpo di rivoltella Talaat Pascià tra i maggiori responsabili dello sterminio. Uomo forte del movimento Unità e progresso durante la guerra Taalat aveva più volte emanato sintetici ma inequivocabili ordini scritti di pulizia etnica: La meta della deportazione è il nulla. Il resoconto del processo durato due giorni e conclusosi con un'assoluzione è importante sotto più punti di vista. Umano: in Tehlirian non osserviamo un'unità di una statistica ma le conseguenze concrete del male in un uomo psichicamente schiacciato dalla propria tragedia. Documentario: la testimonianza difensiva del pastore Lepsius presente in Turchia all'epoca dei massacri e massimo esperto del problema si segnala per una limpidità storica e morale fuori dal comune. Giuridico: mostra la forza e l'ambiguità del diritto che assolse l'omicida d'un criminale di guerra ma non fu in grado di fronte a crimini nuovi di enunciare nuovi principi: occorrerà aspettare Norimberga (e oltre). D'attualità ponendosi al lettore come un problema contemporaneo: a novant'anni dal genocidio armeno il governo turco continua a rifiutarsi di riconoscerlo ufficialmente.
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