IBS Café > Intervista
Antonio Manzini
Il nuovo romanzo
Il vicequestore Rocco Schiavone
Parliamo di Orfani bianchi. Dove hai attinto la materia che compone questa storia dolorosa e attuale?
Mi è venuta in mente guardando la badante di mia nonna. Mi sono sempre chiesto: “qual è il prezzo che questa signora sta pagando per stare accanto a mia nonna?”. Ed è un prezzo abbastanza alto, alla fine. Negli anni ho cominciato a documentarmi sulla vita di queste persone. Ci sono anche delle comunità, molti sono piuttosto integrati. Poi in realtà scopri che si sono lasciati le loro radici alle spalle, come noi italiani, quando andavamo in America. I problemi dell’immigrazione mi hanno sempre colpito, fin da piccolo. Papà era pittore e le migrazioni erano il suo pallino: per anni aveva dipinto l’immigrazione americana, tedesca, e svizzera. E io già da piccolo guardavo documentari, ascoltavo storie, leggevo libri su questo argomento. Mi ha sempre procurato dolore pensare di dover lasciare i tuoi cari, i tuoi affetti, le tue radici solo perché non riesci a campare.
Ma come hai fatto ad assumere gli accenti, i modi, i riti di cui si compone la quotidianità di queste persone?
Li ho osservati, semplicemente. Qualcuno l’ho anche conosciuto. A volte, un po’ vigliaccamente, a dire il vero, ho anche finto amicizia. E poi sono sempre stato curioso delle storie di tutte le donne passate come baby-sitter a casa mia: bulgare, peruviane… volevo sempre andare a vedere dove stavano, con chi abitavano, se avevano un marito… fino a intavolare con loro vere e proprie chiacchierate notturne. Ma poi basta farsi un giro nella periferia romana - quella vera - e lì sì che vedi davvero come vivono.”
Nel caso che tu immagini e racconti, poi, c’è un doppio spaesamento: perché la tua protagonista è donna, oltre che immigrata...
Questa è la seconda mazzata, per così dire. Perché gli uomini spesso e volentieri devolvono le loro responsabilità. Spesso spariscono. Ho conosciuto tantissime donne e ragazze con figli e i mariti “non pervenuti”. Certo, alcuni sono dei poveracci che fanno lavori pesanti come i metalmeccanici in Ucraina o in Germania. Ce n’è uno che dopo anni è tornato senza una mano, zoppicante e dopo un anno e mezzo è morto di cancro ai polmoni. È proprio vero che ogni capitalismo ha bisogno di un popolo da sfruttare.
Sai, nei libri di Rocco Schiavone c’è un magistrato, Baldi, che ha sempre idee geniali, e io gli faccio dire questa cosa: “[…] vedi, è molto semplice suddividere l’emigrante che arriva in Europa: è francofono? Cittadino francese. È anglofono? Cittadino inglese. Perché? Perché se un africano parla inglese o francese vuol dire che avete davvero rotto i coglioni a questo popolo: li avete sfruttati per anni, quindi adesso ve li prendete”.
E se sono troppi, non vedo perché altri Paesi - vedi Ungheria o Polonia (tra l’altro fino a ieri i migranti erano loro), non debbano prendere altre persone. A me della moneta unica non importa niente, ma voglio regole politiche, e che le leggi vengano rispettate. La migrazione va accolta. Con tutti i pro e i contro. Anche se, per esempio, gli immigrati sono importatori di malavita; e mi sembra che in America noi abbiamo portato niente meno che la mafia, per cui... chi siamo noi per giudicare?
Mentre parliamo, Manzini si offre alla fotocamera con consumata e divertita perizia di attore. Si mette di spalle su una panchina, svapa voluttuosamente una sigaretta elettronica prima di far finta di rubare una pila di libri, poi s’improvvisa quinto Beatle salendo su una scala di ferro e ricordandoci che lui è abbastanza vecchio da ricordare a memoria la copertina di quel disco. “Ahò, so’ cinquantadue, quest’anno, eh?”. Non porta le Clark: deve averle lasciate ad Aosta, preferendo mettersi ai piedi un più comodo e asciutto – anche se meno stiloso - paio di sneakers colorate, calde e ben ammortizzate.
Le Clark non le ho più, accidenti… devo ricomprarle. Anche se mi sa che a Milano non vanno tanto bene… non si infradiciano tutte, qui?
Beh, Milano non è esattamente Aosta, e l’ultima nevicata che abbia inzuppato le scarpe ai meneghini è roba di trent’anni fa...
Ah! Figurati che con le Clark ci ho mandato Michele Soavi sul Monte Bianco! Soavi è il regista della fiction ispirata alle avventure di Rocco Schiavone che andrà in onda su Rai Due a partire da novembre. È stata una piccola vendetta. Soavi è un regista molto bravo; ma siccome quando facevo l’attore lui non mi ha mai preso in un suo film, mandarlo a girare a 2000 metri di altitudine mi è sembrato un buon contrappasso. Lui lo sa, eh? Ci abbiamo perfino riso sopra.
Già, Rocco Schiavone, che sta a Manzini come Montalbano sta a Camilleri, per restare nella stessa scuderia di purosangue del giallo d’autore. Un personaggio che sembra essere modellato in negativo sui tratti del suo papà di penna, riuscendo ad evocarne idiosincrasie e passioni proprio attraverso le differenze: tanto Manzini sembra ludico e aperto al gioco, quanto Schiavone è spigoloso, umorale, miccia corta pronta a deflagrare all’improvviso. E per questo, tanto più amato dai lettori e dalle lettrici.
Sì, ma guarda che Rocco è una persona scorretta, tratta male i sottoposti… però piace perché non è bugiardo. È uno che dice la verità, e poi ci rimette. Per questo sta simpatico: non mente. Nemmeno alle donne.
Nel suo ultimo, celebratissimo 7-7-2007, che il critico più temuto e riverito d’Italia, Antonio D’Orrico ha bollato sulle colonne del “Corriere” con un tondissimo - e rarissimo - Dieci e lode, Rocco ci viene restituito in tutta la sua ambiguità e complessità morale. È un loser, mandato al confino dai suoi superiori in una città che sembra fatta per punirlo della sua irriducibile romanità, e così il nostro trasteverino finisce per diventare un potente simbolo di spaesamento, con quelle scarpe perennemente zuppe e il loden appesantito dal freddo e dall’umido.
Marco Giallini è perfetto, veste molto bene Schiavone, e anche il loden. Sai, per portare bene il loden devi essere alto almeno un metro e ottanta. Si sente, comunque, che nello scrivere e realizzare la serie hanno voluto molto bene al personaggio.
E tu, con cinema e televisione come sei messo? Hai una frequentazione di lunga data con il cinema…
Sì, una frequentazione che è finita.
Finita finita?
Sì. È un po’ come lasciarsi con una moglie a cui non hai più niente da dire. Mi piace di più scrivere.
Beh, questo ferirà molte tue fan… anche se, a pensarci bene, anche Rocco è un uomo ferito…
Sì, ma non deve diventare mai una scusa. E lui secondo me un po’ ci gioca, con il fatto che è ferito. E infatti va a finire male a Isernia… ecco faccio un coming out: non mi piace Isernia. Però non ci sono mai stato, per cui non vale.
di Matteo Baldi