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Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2021
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Una bambina negli anni del Fascismo, della guerra e poi l'avventura in una terra straniera con una madre ingombrante, fiera e determinata nelle sue scelte libere. Un affresco di quegli anni che ha il sapore delle grandi saghe familiari che nascondono milioni di aneddoti e di circostanze leggendarie. Un ricordo familiare a ritroso perché la storia narrata è quella dell'autrice in omaggio agli antenati che hanno preceduto il suo camino, l'hanno forgiato e indirizzato come una freccia scoccata da un arco. Una scrittura ancora acerba ma che racchiude in sè un grande potenziale.
Un romanzo di incredibile maturità letteraria e tematica, opera prima di una giovanissima e promettente autrice. Lo stile letterario non è dei più facili, inizialmente si entra un po' a fatica nella vicenda. Alcuni personaggi e situazioni mi hanno ricordato "Caffè amaro" di Hornby. Grande personaggio femminile l'Adele, detta Adi; una storia familiare - peraltro tratta da spunti autobiografici dell'autrice - in cui a mio parere ancora una volta le donne dimostrano di saper prendere in mano le redini della vita a fronte di uomini insulsi.
Recensioni
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La principale attrattiva del romanzo “La grande A” di Giulia Caminito (Ed. Giunti) è che apre uno squarcio su una realtà di cui si sa poco: quella della comunità italiana che, dagli anni Venti sino agli anni Sessanta, elegge l’Etiopia a propria dimora, acquisendo abitudini e modi di vivere unici nel loro genere, in una terra al contempo difficile e generosa.
Interessante è anche la genesi della storia: Giulia Caminito (classe 1988, editor per una casa editrice romana e qui al suo esordio letterario), l’ha infatti costruita a partire dalle interviste fatte a sua nonna, la quale ha davvero vissuto sulla propria pelle le vicende narrate.
Vera protagonista del romanzo è, però, la bisnonna dell’autrice: Adi. Donna energica, temeraria e, al contempo, temuta (ha un caratterino niente male, tanto da prendere a schiaffi il prete che la critica per il suo stile di vita indipendente), si trasferisce dalla campagna di Legnano in Africa per fare fortuna e mantenere, con quel che guadagna, le figlie rimaste al paese. Prima traffica coi camion e si dedica al contrabbando, poi apre un bar, ad Assab, dove il caffè non è come in Italia ma gli avventori non si fanno desiderare. Dopo qualche tempo, Adi decide di farsi raggiungere dalla piccola Giada, che nel 1949 si mette su un piroscafo e, malvolentieri, si unisce a quella madre dal carattere iroso e ribelle nella grande A – una sola lettera per indicare il misterioso e allettante continente di cui ha solo sempre sentito parlare.
Ad Assab, Giada scopre un mondo fatto di immense distese di sabbia, di una calura atroce, di bambini che decide di chiamare “Diavoletti” e che si divertono a catturare gazzelle appena nate nel deserto per venderle come animali da compagnia a quelli come lei. Diventa, poi, amica di Hamed, il ragazzo che aiuta Adi al bar, e gli insegna a scrivere. Insieme, prendono in giro i clienti affibbiando loro buffi soprannomi e la vita scorre lieta, anche se non facile, rallegrata da uno degli appuntamenti preferiti degli italiani in Etiopia: il cinematografo, la domenica sera. Giada ci porta persino la sua gazzella, di nome Checco, tanto nella grande A le regole sono completamente diverse da quelle che doveva seguire a Legnano.
Il romanzo segue la crescita di Giada sino a quando, ormai una giovane donna, incontra Giacomo, suo marito, uomo spericolato e poco affidabile, che prima la fa diventare madre di Massimiliano e la convince a seguirlo ad Addis Abeba e, poi, la lascia per una rossa con cui si dilegua per molto tempo. Giada si trova, così, ad essere una donna sola come sua madre Adi ed è costretta a diventare forte e caparbia, quasi quanto lei.
Quando Giacomo si ripresenta, Giada è diventata un’altra: ora sa concedere a se stessa i balli delle serate eleganti della comunità coloniale italiana, sa prendersi il suo tempo e il suo spazio, anche se rifiuta di seguire una strada che le si apre all’improvviso e che potrebbe portarla a un nuovo amore.
La storia, nel frattempo, va avanti e gli italiani ad Addis Abeba, e non solo, si sentono sempre meno sicuri. Corre voce che il Negus verrà rovesciato, che gli stranieri non sono più i benvenuti. E, a poco a poco, nella mente della matriarca Adi si affaccia un’idea: tornare a casa, tornare in Italia. È lei a prendere di nuovo in mano il destino della sua famiglia, con un movimento opposto e contrario a quello iniziale, e ritornando crea un altro mondo sicuro, anche se molto meno vivace di quello africano, per se e per Giada.
La grande A (che coincidenza…) è anche l’iniziale del suo nome ed è forse questa la vera, l’unica terra fertile su cui Giada si sente sicura e da cui trae nutrimento.
Ritratto marcatamente al femminile di più generazioni, in un contesto storico-culturale molto particolare, questo romanzo è narrato con uno stile molto insolito. Ad esempio, non prevede il virgolettato per i dialoghi, inglobati nella narrazione come tante voci che la compongono. I dettagli offerti da ogni pagina sono molti, come una somma di innumerevoli ricordi. Per questo, a volte si ha l’impressione di essere sopraffatti da tanto generoso materiale e di dover arretrare per recuperare il filo del discorso, anche per via del continuo mutare del punto di vista della narrazione. La ricerca di un modo efficace e originale per narrare una storia così corposa e così estesa anche sul piano temporale è ammirevole ma, al tempo stesso, a volte ottiene un effetto di pesantezza che porta a disperdere l’attenzione nel corso della lettura. Il linguaggio è molto curato ma si ha come l’impressione di essere coinvolti in una grande corsa, che a volte non permette di godere appieno dei tanti particolari della storia e fa venire la voglia di fermarsi, un istante, per tirare il fiato.
Resta, comunque, una vicenda affascinante, quella raccontata, un viaggio sicuramente speciale.
Recensione di Elisa Armellino
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