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Di racconti di formazione è pieno il cinema ed è pieno anche il cinema italiano. Un genere ormai consolidato e spesso indigesto per retorica e luoghi comuni. Di racconti di formazione sullo sfondo di un disagio sociale e di una marginalità geografica il cinema italiano è inoltre ormai maestro. Per fortuna c'è "Un giorno all’improvviso" che rimette in giusta proporzione equilibri e sguardi. Perché i racconti di formazione, specialmente adolescenziali, bisogna anche saperli “dirigere”, non darli per scontati. Cioè bisogna essere in grado di dar loro una misura, perché non è sufficiente una battuta; bisogna saper verificare gli attori e saper muoverli, perché anche quando bravi non bastano da soli. Regole elementari di ogni immaginario e di ogni genere, probabilmente. Ma se applicate per bene da un regista italiano esordiente nel lungometraggio con un racconto di formazione ambientato nella provincia campana e su un diciassettenne che sogna il calcio professionale, ma è legato dalla madre schizofrenica a responsabilità “d’adulto” che gli tolgono a poco a poco l’aria fino a metterlo di fronte a scelte decisive, ecco, sono regole sane e necessarie. Per questo motivo" Un giorno all’improvviso" è un bel film, perché sa guardare e sa scegliere, sa fare un passo indietro se la “pesantezza emotiva” lo richiede e sa credere nei personaggi.
Film piatto
Un film che meritava molta più visibilità a mio parere. Introspettivo, fa riflettere.
Recensioni
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