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Bonvissuto canta la Roma, ma canta soprattutto un amore assoluto, fulminante, che si accende nell'animo per trasformarlo. Mescolando alto e basso a ogni riga, divagazioni e scene formidabili, il nuovo libro di Bonvissuto parte come un trattatello filosofico sull'amore per diventare a poco a poco un romanzo corale di grande forza.
La gioia fa parecchio rumore è un romanzo tempestoso che ubbidisce a una sola regola: dire la vita con tutta l'energia che ci si ritrova addosso. C'è un io e c'è un noi: anzi, un noantri . E c'è un bambino che impara a vivere dalle persone che gli stanno intorno: «gente che non si tiene niente nel cuore», allegra, chiassosa, abituata ad amare anche nei momenti piú bui, e ad amare senza misura. Bonvissuto canta la Roma, ma canta soprattutto un amore assoluto, fulminante, che si accende nell'animo per trasformarlo. Mescolando alto e basso a ogni riga, divagazioni e scene formidabili, il nuovo libro di Bonvissuto parte come un trattatello filosofico sull'amore per diventare a poco a poco un romanzo corale di grande forza. A differenza di molte passioni, quella calcistica dura una vita intera e arde sempre, nel bene e soprattutto nel male: «Forse il calcio è l'unica cosa al mondo che è piú bella quando la fanno gli altri, quelli con quella maglia però. Che comunque ce l'hanno solo in prestito, perché la maglia della Roma è la mia. Potrebbero anche averla rubata. E l'amore forse è questo: correre appresso a un ladro che ci ha rubato qualcosa». Attorno a questa fiamma si condensa un microcosmo di padri, nonni, zii, fratelli di fede giallorossa, una comunità vera e propria, allegra, sterminata, capace d'iniziarti alla vita. La condivisione delle sconfitte, il divano da cui tutta la famiglia «guarda» la radio, l'epica costruzione della bandiera da portare allo stadio insieme ai panini con la frittata, le trasferte su quel pulmino lentissimo che profuma di mandarini, e le partite, certo, viste con occhi bambini ancora allergici a date, nomi, tecnicismi, ma capaci di vedere pure l'invisibile. Poi c'è Barabba, che vive in una roulotte lungo la ferrovia: spetterà a lui svelare al bambino la quantità di universi concentrati in una sola maglia di calcio. La numero cinque. La indossa un brasiliano atipico, un centrocampista che arriva in punta di piedi e realizza il sogno proibito di tutti i tifosi, l'innominabile parola che inizia con la s ... La gioia fa parecchio rumore è uno di quei libri che ti fanno immergere totalmente nel mondo che raccontano. E che te lo fanno rimpiangere, alla fine, come se fosse il tuo.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Non è semplice identificare il genere più appropriato in cui collocare tale opera. In parte romanzo, in parte quasi un saggio incentrato sulla veracità e sul cuore pulsante di una realtà storica come Roma. Un tuffo emozionante nell’anima popolare di una città dalle mille sfaccettature, passando attraverso racconti di vita legati al “culto” per la squadra che rappresenta appunto il cuore della città stessa, la AS Roma. Consigliato.
Il libro parte bene parlando di calcio ma facendo riflessioni sulla vita - notevole il passaggio sul tifo dei figli che non può essere diverso da quello dei padri - ma poi si perde seguendo più una cronaca, non puntuale, delle vicende che portano allo scudetto della Roma e alla finale di coppa dei campioni, con la quale si chiude il libro. E' un romanzo, va bene, ma ci sono alcuni passaggi totalmente inverosimili (e poi contraddittori) laddove descrive un'intera famiglia "bloccata" dal tifo per la Roma (ma poi nella seconda parte il coinvolgimento pare meno completo da parte dei diversi componenti della famiglia stessa). Stucchevolissime le pagine che preparano l'arrivo di Falcao alla Roma ricorrendo alla numerologia (il n.5). Un libro un po' paraculo con tante dinamiche che valgono un po' per tutte le squadre condensate per rendere un amore grande verso la propria squadra, un concetto che essendo io del Toro ben posso comprendere, anche con riferimento romantico alle sconfitte che fortificano. Mi ha comunque incuriosito l'autore e credo leggerò il suo primo libro "Dentro" per poterlo valutare meglio. I suoi articoli sono sempre molto efficaci e li leggo con piacere, ma un libro, in primis per una questione legata all'estensione, è un'altra cosa.
Sandro Bonvissuto restituisce ai Tifosi, Romanisti e non solo, il gusto e la passione del calcio di un tempo che non c’è più. L’ardore candido filtrato dagli occhi di un ragazzino per cui la gioia ha due colori. Da leggere e sottolineare. Da regalare
Recensioni
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Troppo facile accostare La gioia fa parecchio rumore (200 pagine, 18,50 euro) di Sandro Bonvissuto a Febbre a 90′ di Nick Hornby. Troppo facile e scontato. Volendo azzardare proprio un parallelo, l’ultimo riuscitissimo romanzo di Bonvissuto, pubblicato da Einaudi, rimanda a Follia di Patrick McGrath. Perché La gioia fa parecchio rumore non è un romanzo sul calcio e i suoi protagonisti. Non è un romanzo destinato soltanto agli appassionati del pallone.
Qui il calcio è quasi un pretesto per raccontare un amore folle, malato, assoluto, sconfinato, non necessariamente corrisposto e soprattutto irrazionale. Un amore cieco, un’ossessione capace – come ogni grande vero amore – di porre in secondo piano qualsiasi interesse/evento/persona, anche a discapito di sé stessi.
«L’originalità di uno scrittore si riconosce dal coraggio con cui ha osato lanciarsi nell’abisso», ha scritto Connie Palmen dando voce a Ted Hughes in Tu l’hai detto. E Bonvissuto ha avuto molto coraggio, gli va riconosciuto. Si è gettato a capofitto nel proprio abisso ed è riemerso con un diamante.
Senza una buona dose di autoironia però, non sarebbe riuscito a scrivere un libro così bello, introspettivo e profondo. Non sarebbe riuscito a mettere a nudo l’animo truce del tifoso e della sua tribù, una comunità che condividendo una fede autentica e sincera, al suo apice sfiora il misticismo. La passione per il calcio non è molto differente dalla religione, perché è un sentimento che non ha nulla di razionale. Nella gioia e nella disperazione. Tant’è che l’autore non si sforza mai di spiegare, di fornire una logica a ciò che logico non è; Bonvissuto al limite racconta, e lo fa (molto bene) attraverso la voce di un ragazzino di borgata, usando una prosa colta e ipnotica.
La storia si dipana attorno alle vicende del piccolo protagonista, che dovrà superare esami e riti d’iniziazione veri e propri prima di essere reputato dalla famiglia all’altezza di un così grande amore. Attorno a lui ruotano un microcosmo di personaggi veraci, resi vividi e indimenticabili dal dialetto romanesco, che Bonvissuto usa con sagacia e parsimonia per divertire e plasmare. Tra i vari personaggi spicca la figura più mistica, quella di Barabba, una sorte di barbone-filosofo in grado di fornire al protagonista risposte spirituali e perfino chiavi di lettura cabalistiche. E quella del nonno, arguto, tagliente e profetico.
L’accostamento con il fortunato Febbre a 90′, si diceva all’inizio: certo, può risultare naturale. Gli ingredienti sono più o meno gli stessi (il calcio di una volta, la passione e il tifo da stadio), anche se cambia lo scenario. Ma vanno fatti un paio di distinguo. Bonvissuto è romano ed è questa sua romanità – elemento astratto che racchiude in sé, non tanto l’esser nato in una città, ma un mondo, un modo di essere e un paio di millenni di storia – che dà al romanzo una poesia e una concretezza fuori dal comune.
E poi va sottolineata la scelta, assolutamente coerente (e vincente) di non assoggettare al tempo gli eventi che scandiscono la vita del piccolo tifoso romanista, e di non citare mai giocatori, allenatori o presidenti. Nessuna eccezione. Al massimo Bonvissuto lascia intendere, come nel caso del compianto capitano (Di Bartolomei) o del campione brasiliano (Falcao). Perché deve essere chiaro a tutti: non è il calciatore il destinatario di questo amore, ma solo ed unicamente la squadra, la maglia, la Roma. E allo stesso modo Bonvissuto non cita mai la principale antagonista (la Juventus), men che meno gli acerrimi rivali cittadini (la Lazio). Semplicemente nel libro non esistono. Nel libro esiste solo la Roma.
Recensione di Giovanni Di Marco
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