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Su modello dell'"Eracle" di Euripide, Seneca crea forse una delle sue tragedie più mature e interessanti. Qui non è più l'intervento divino la causa, l'origine della follia omicida dell'eroe, bensì egli stesso e la sua complessa personalità, incline alla tracotanza, all'alta opinione che ha di sé e al suo continuo procrastinare sull'emotività. Molto interessante e suggestiva la descrizione del mondo degli Inferi fatta da Teseo (descrizione che influenzerà sia Virgilio che lo stesso Dante) e il terzo coro in cui, attraverso l'evocazione dell'ultima impresa di Ercole (la cattura di Cerbero, e la liberazione di Teseo), vengono fatte varie dissertazioni sull'inevitabilità della morte, dissertazioni che si ritrovano nelle opere filosofiche di Seneca. Forse non allo stesso livello di impatto drammatico e stilistico della "Medea" o della "Fedra", ma sicuramente un'interessante è suggestiva prova drammaturgica che ha fatto ha ispirato l vari autori successivi (ad esempio, oltre a quelli sopra citati, lo stesso Shakespeare). Da leggere!
Recensioni
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scheda di Beta, S. L'Indice del 2000, n. 06
Strano destino davvero, quello di Eracle: se il mito lo celebra come il più grande eroe dell'antichità, il teatro classico ne mette in luce gli aspetti meno eroici e più inquietanti.
All'interno della tradizione letteraria e della produzione artistica, Eracle è soprattutto il protagonista delle dodici fatiche, una serie di imprese celebrata anche dagli autori cristiani, come per esempio nella Consolatio Philosophiae di Boezio, dove i duri labores di Ercole diventano le prove che gli uomini forti devono superare per poter raggiungere, grazie alle loro vires ("forze"), la virtus ("virtù"). L'eco di queste fatiche giunge pressoché intatta fino ai moderni, attraverso un incessante stillicidio di nuove interpretazioni; nel 1972 G. Karl Galinsky pubblica da Blackwell un saggio, The Herakles Theme, dedicato alle varie facce che l'eroe, nato a Tebe dall'ennesima relazione adulterina di Zeus, mostra a partire da Omero fino ad arrivare al ventesimo secolo.
Sulla scena teatrale, però, le cose cambiano, e non di poco. Nella commedia attica - ma anche in quel genere letterario tutto particolare chiamato "dramma satiresco", dove alcune vicende mitiche venivano riviste in chiave comica -, Eracle si trasforma in un personaggio completamente diverso: l'eroe diventa il paradigma del ghiottone e si trasforma in un gigante dal ventre smisurato disposto a qualunque cosa pur di divorarsi un manzo intero e di scolarsi damigiane di vino. E non solo: il lato comico della situazione è accentuato dal fatto che nella maggior parte dei casi l'eroe finisce per rimanere a bocca asciutta, dando così origine alla macchietta dell'"Eracle affamato", dell'"Eracle defraudato del pranzo". Se si guarda invece alle tragedie rimaste, ci si accorge come il teatro antico abbia focalizzato la propria attenzione su due momenti specifici della vita dell'eroe. Se le Trachinie di Sofocle e l'Ercole sull'Eta attribuito a Seneca ne narrano la tragica fine, provocata dal dono mortale del centauro Nesso, l'Eracle di Euripide e l'Ercole furente di Seneca puntano il loro obiettivo su un altro drammatico episodio, l'assassinio della moglie e dei figli a causa dell'odio di Era/Giunone.
L'Eracle è stato pubblicato da Rizzoli nel 1997, nella traduzione di Maria Serena Mirto, e da Garzanti nel 1999, tradotto da Umberto Albini; sempre nel 1999, e sempre nella "BUR", è uscito l'Ercole furente, a cura di Elena Rossi. Nella sua ricca introduzione, la curatrice insiste sulle differenze tra la versione euripidea e quella senecana, sottolineando come le modifiche strutturali attuate dal filosofo latino rispondano a un diverso canone interpretativo della realtà: se in Euripide l'improvvisa follia che lo spinge al massacro della sua famiglia appariva sostanzialmente "immotivata o, meglio, indotta dalla pura crudeltà divina", in Seneca la pazzia che sconvolge la mente dell'eroe è vista come "vero e proprio delirio di potenza, che si manifesta come volontà di dominio totale", e si presenta "come lo stadio patologico dell'ambizione eroica a oltrepassare i limiti".
Resta comunque, anche nel lettore moderno, lo sgomento di fronte a una vicenda così profondamente tragica: quando una disgrazia improvvisa colpisce un uomo al colmo della felicità senza che egli ne sia né consapevole né, tantomeno, colpevole, non esistono parole capaci di consolarlo.
Simone Beta
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