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Quando nel 1829 venne pubblicata la Fisiologia del matrimonio. Meditazioni di filosofia eclettica sulla felicità e la infelicità coniugale, Balzac aveva appena 30 anni e, nonostante avesse già avuto diverse avventure amorose con donne dei salotti parigini, in realtà non conosceva ancora i meccanismi del matrimonio, infatti si sposò solo nel 1850, poco prima di morire. L’opera provocò enorme scandalo a causa del modo in cui veniva trattata la donna, per cui fu censurata. Nella ripartizione del corpus di 137 opere della Commedia umana, diviso in tre grandi categorie, vale a dire gli “studi analitici”, gli “studi filosofici” e gli “studi di costume”, la Fisiologia del matrimonio si situa nella prima parte, sebbene ci dica molto dei costumi della Francia tra Settecento e Ottocento. L’opera di Balzac si premura di dare indicazioni agli uomini per affrontare il matrimonio e per gestire le paturnie della donna, che, dal momento in cui diventa moglie, si trasformerebbe, in sostanza, in un’astuta arpia, interessata a ricavare quanti più benefici possibili dall’unione coniugale oppure a stuzzicare altri uomini per naturale disposizione alla provocazione e alla “minotaurizzazione” (cornificazione) dei predestinati. Il tono è senz’altro ironico, ma vi è anche una certa profondità nel sondare i meandri dell’unione coniugale, da cui, tuttavia, il matrimonio non ne esce affatto rinforzato, anzi sembra rappresentato come una gabbia per l’uomo, una sorta di «morale eterna» che irretisce il piacere e anche l’amore. La vena particolarmente pessimistica nei confronti della fedeltà della donna pervade tutta l’opera, così come emerge una naturale disposizione femminile al sotterfugio, alla tattica finalizzata all’imbroglio e all’evitamento delle relazione sessuali, ma solo quando si tratta di soddisfare il marito.
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