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Anno edizione: 1996
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E' l' interessante narrazione di una diseducazione sentimentale, è la descrizione della resa "contro se stesso e nonostante se stesso" agli istinti più oscuri e inafferabili della personalità del protagonsita. Forse un po' pretenzioso in alcune parti. In ogni caso da leggere per meditare un po'
Bettiza è dalmata, non triestino, ma il capoluogo giuliano lo conosce bene e vi ambienta gran parte di questo straordinario bildungsroman di una giovane anima che da un'infanzia caratterizzata da sogni ovattati e precoci dolori, presto si ritrova nel bel mezzo di un'adolescenza tormentata da tensioni familiari, sociali, intellettuali e politiche. Il protagonista appare quindi come un alter ego di Trieste stessa, da sempre dolorosamente in bilico tra razionalità mitteleuropea e caos balcanico, tra ordine, cultura e regole da una parte e sangue, impulsività e barbarie dall'altra, una città che forse non ha pari -potrei solo pensare a Danzica, Berlino e Sarajevo- nell'aver saputo rappresentare, volente o soprattutto nolente, il travaglio del novecento europeo. Straordinari nell'efficacia descrittiva e nell'introspezione psicologica i due personaggi della balia slava, primordiale e tragica grande madre, sanguigna, assoluta, totalitaria e autodistruttiva, simbolo dell'Est, nonché l'intellettuale ebreo Rico Pfeffer, geniale, disgustoso, coltissimo, malato e sovversivo, simbolo dell'Ovest. Un libro a tratti ostico, spesso non fluido, ma assolutamente indimenticabile.
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