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Discreto documentario diretto da Michael Moore nel 2004. Il documentario per circa un ora è piuttosto interessante, nonostante anche in questo caso gran parte delle informazioni sono già conosciute, dopo però comincia con il non dire più nulla mostrando solo interviste ai soldati in Iraq e ai loro familiari e immagini di bombardamenti. Insomma tutte cose forti dal punto di vista emotivo ma che riproposte per quasi un'ora diventano molto noiose, divertenti invece i momenti in cui prende per in giro Bush. Insomma alla fine si lascia guardare tranquillamente,una visione la merita.
I nove minuti in cui Bush Jr. rimane assiso, inane, con espressione beota in una classe della Virginia, senza reagire dopo la notizia dell'11 settembre sono l'emblema audiovisivo dell'idiozia della leadership bersaglio di Moore. Sarcastico, propagandistico, talora demagogico, ma sempre intellettualmente onesto e lucido, volto a smascherare la tragedia silenziosa che agli albori del terzo millennio ha visto una sordida tecnocrazia mettere in atto, nel Paese considerato la punta di diamante della civiltà occidentale, strategie e brogli degni dei peggiori regimi totalitari.
Scrivere un'opera di Michael Moore per quanto mi riguarda sarebbe troppo facile. Nel senso che darei il massimo punteggio a prescindere, perché adoro il regista (ripeto, il regista, non le sue idee, che, tuttavia, in parte condivido). Per questo motivo di fronte a Fahrenheit 9/11 che imposta una tematica esorbitante dai confini della critica cinematografica, vorrei limitarmi a giudicarlo come film/documentario. Si tratta di un pamphlet mirato senza mezzi termini a silurare la rielezione di Bush. Due ore traboccanti di scoperte e denunce. Il "povero" George è presentato come un figlio di papà dal dubbio passato militare, socio in sfortunate imprese petrolifere con la famiglia di Bin Laden, eletto grazie a un broglio in Florida; insediato fra i fischi, sempre in ferie nei primi tempi della presidenza e dopo l'11 settembre creatore e propagatore di un culto della paura per giustificare il suo attacco in forze contro l'Iraq accusato senza prove di preparare armi letali. Moore denuncia che il cosiddetto Patriot Act, limitativo delle libertà individuali, è stato votato dal Senato senza leggerlo. Deplora che la carne da cannone per la guerra oltremare provenga dalla circonvenzione della povera gente; provoca i senatori chiedendogli di mandare in guerra i loro figli e ci fa sapere che, mentre i reduci e i mutilati sono trattati malissimo, intorno al conflitto si è creata una grossa rete di affari. Naturalmente, l'autore di 'Bowling a Columbine' è sempre lui, e accanto all'inchiesta imbastisce una serie di provocazioni esilaranti malgrado lo sfondo tragico. Ma non dimenticheremo facilmente quei carristi-ragazzini che raccontano come scelgono le canzoni da mettere in cuffia prima di andare all'attacco. Né l'ultima raffica di cifre, i soldati reclutati nelle zone più povere degli Usa, gli autisti della 'Halliburton' di stanza in Iraq che guadagnano il triplo dei militari, Bush che come ciliegina tenta di tagliare stipendi e sussidi ai soldati e al e alle loro famiglie.
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