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Come un buon vino rosso invecchiato in botti grandi, questo prezioso diario che risale a metà anni ottanta non perde di attualità, anzi acquista un gusto rotondo e un profumo intenso. I siparietti comici tratteggiati da Starnone che riguardano scene di ordinaria routine sono del tutto verosimili, e pagina dopo pagina, quasi senza accorgersene, cognomi e nomi ricorrenti e quadretti slegati danno vita a una comunità scolastica fatta di adolescenti, adulti e anziani ognuno con i propri tic, nevrosi, nostalgie, goffaggini, ossessioni; e dall’esattezza delle descrizioni e dei dettagli si deduce che chi ha scritto queste gustose rappresentazioni le ha tratte dalla propria esperienza di insegnante e dalla conoscenza di questo mondo. Qualunque fossero le intenzioni, l’Autore comunica il suo pessimismo sul disastrato sistema formativo italiano trasmettendo l’inutilità del lavoro docente, con pennellate di umorismo e intelligente autoironia e al tempo stesso con la mestizia e il disincanto di un reduce dalle tante, speranzose battaglie combattute con passione ma ormai ripiegato in una rassegnata sconfitta.
È un libro che regge ancora agli anni soprattutto per la sua verve ironica. Ma andrebbe oggi integrato con quelli della Mastrocola e di Mazzocchini.
consigliato a chi ha 30-35 anni e ha frequentato la scuola nel periodo di cui parla starnone. tanta nostalgia e tanti, tantissimi sorrisi. la scuola vista dagli insegnanti!
Recensioni
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Ex cattedra di Domenico Starnone compie vent'anni. L'anniversario ha propiziato una nuova edizione del libro, ormai un classico del filone scolastico, in un volume arricchito da altre sue storie di scuola, pubblicate su giornali e riviste negli anni novanta. Nell'introduzione, densa e partecipe, Starnone richiama alla memoria e difende le ragioni che avevano ispirato il suo racconto della scuola; un'introduzione, guardandosi indietro, in forma di bilancio della propria personale esperienza di insegnante (da cui ha preso congedo nel 1997), che è poi anche un bilancio della scuola degli ultimi anni e di una parte importante della storia italiana.
Il libro raccontava il trantran della scuola negli anni ottanta ricorda Starnone , quando le speranze di cui erano animati i giovani insegnanti entrati in servizio alla fine degli anni sessanta erano miseramente scadute a formule vuote, riti fiacchi e ripetitivi. Era il racconto, in vena autoironica, di una figura nuova di insegnante: post sessantottesco, da più parti accusato di non fare scuola ma di volerla distruggere, appartenente a una fase definita eroica da Starnone, che difende la carica eversiva del Sessantotto, oggi da più parti messo all'indice come origine dello sfascio della scuola. La scuola raccontata da Starnone "appare come bloccata sulla soglia del mutamento vero". Sconfitta la scuola classista, la scuola di massa non si è mai potuta compiutamente realizzare.
Starnone confessa di non avere mai sentito la scuola come propria, al contrario come territorio ostile, da conquistarsi palmo a palmo. Propria al massimo l'aula, gli studenti con i quali esercitare quel "piacere di insegnare" qui rivendicato fin dal titolo dell'introduzione (e che il tono grottesco delle sue storie, complici le trasposizioni cinematografiche, aveva messo in sordina). Ma dalla metà degli anni ottanta notazione tra le più acute qualcosa è cambiato: gli insegnanti hanno cominciato a dichiararsi professionisti assai competenti e la scuola doveva considerarsi buona, anzi ottima. Se non funzionava come doveva, la colpa era da ricercarsi all'esterno: nelle riforme sbagliate di sinistra e poi di destra, nei giovani della società televisiva-consumistica. La forbice con la scuola che molti insegnanti avevano tenuto aperta cominciava a chiudersi. Il conseguente arroccamento difensivo dei docenti a Starnone è sembrato sbagliato. Come quando si inveisce contro gli studenti: e se fosse una facile scappatoia? Probabilmente è "la perdita di autorità [che] spinge molti colleghi a sostenere, per difendersi, che le nuove generazioni stanno diventando sempre più stupide". Un'originale osservazione che sarebbe comodo, oltre che molto disonesto, lasciar cadere.
La scuola ritratta in Ex cattedra appare in una lunga estenuante vacanza. C'è un passo che pare esprimere al meglio questa condizione: "Stremati dal vuoto e dalla ribellione al vuoto, insegnanti e studenti andiamo in vacanza". È precisamente questa la scuola raccontata da Starnone, la scuola del vuoto: dei valori consueti, qui mai rimpianti secondo tirata solita e ritrita; la vena comica consente al meglio di raccontare un'assenza. Vacanza da vacante: la scuola che si è presa una vacanza da ciò che da sempre è stata e da cui ancora non si è riavuta? Ma non bisogna cadere nella trappola della nostalgia per la scuola come era. Starnone ci mette in guardia, ricordandoci cos'era la scuola prima della denuncia di don Milani.
C'è una considerazione, tra gli scritti posteriori a Ex cattedra e qui compresi nel volume, che potrebbe assumersi come ideale epigrafe a quel libro, tornerebbe utile per una controlettura intelligente, scongiurando così le tante letture di puro divertimento che la fortunata opera di Starnone ha dovuto registrare: "Nelle cose di scuola che ci fanno ridere o sorridere, c'è sempre un fondo buio che ci deve allarmare".
Inevitabile, a distanza di vent'anni, ilraffronto con la scuola di oggi. Gli insegnanti non sono molto cambiati, buona parte dell'attuale corpo docente operava già nella scuola della metà degli anni ottanta. Maggiori cambiamenti si registrano sul versante studenti, la cui mutazione già in quegli anni dava i primi segni. La comunicazione adulti-giovani era destinata a farsi progressivamente più difficile. Una misura dello scarto tra ieri e oggi, colta a un livello intermedio, ci è offerta dagli scritti della sezione intitolata Il collega Starnone, databili seconda metà degli anni novanta, dove pregnante, quasi un'ossessione, è la serie di scrupoli linguistici che l'insegnante si pone, e che nascono dalla constatazione che proprio nulla nella comunicazione con le nuove generazioni si può dare per scontato: la lingua non è più valida perché non è più condivisa come un tempo. Sempre più i docenti, di fronte a questo smacco, non sanno opporre altro che una perenne, sterile, sorda lamentela: contro i giovani, le famiglie, la società e il mondo intero.
Marcello D'Alessandra
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