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Le dieci elegie duinesi di Rilke rapiscono, seducono - sebbene il livello stilistico/poetico sia "alto" e non sempre immediatamente comprensibile - e danno voce alla vuotezza della vita umana e all'incombere della morte sui sogni e sulle speranze dell'uomo. Sotto la penna di Rilke la rappresentazione del reale cambia prospettiva, come nel finale della decima elegia, dove emerge lo stupore di "una cosa felice cadendo". Il commento e la traduzione del prof. Franco Rella prendono per mano il lettore all'interno di questo "viaggio" metafisico.
la scoperta della caducità dell'esperienza umana, la disperazione che ne segue, la ricerca lunga e tortuosa di un nuovo senso tramite cui salvare la vita e la rivalutazione dell'esperienza del singolo istante come appartenente esclusivamente all'uomo che non la propria mortalità si pone su una dimensione che solo a lui appartiene. da leggere, grandissimo Rilke
Meraviglioso. Le "Elegie duinesi" sono il canto all'esistenza umana e nello stesso tempo la tragica presa d'atto dell'insufficenza dell'uomo ad affrontare i grandi compiti dell'esistenza stessa. L'uomo, per sua natura, ha memoria e coscienza del trascorrere del tempo e della propria fine e ciò lo rende inadeguato a percepire l'idea dell'infinito. Solo "L'Angelo" Rilkiano può vedere oltre questo limite e l'uomo a lui si rivolge, mostrando, cantando e dicendo della bellezza dell'esistere. Tutto è effimero e l'uomo, che non sia condizionato da una mente ridicolmente vacua, è evocato da Rilke con queste parole: "Di noi, i più effimeri. Una volta ogni cosa, soltanto una volta. Una volta e non più. E anche noi una volta. Mai più. Ma questo essere stati una volta, seppure una volta: essere stati terreni, non pare sia revocabile". Saranno solo parole. Ma le parole non sono solo un gioco e sono loro, e anche i silenzi che ne derivano, i prodotti meno effimeri della vita!
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