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recensione di Christillin, E., L'Indice 1994, n. 1
Ormai alla soglia dei quarant'anni, "presagio dell'ora fatale", Erasmo passa sul Moncenisio a cavallo, ricordando con nostalgia la sua prima traversata su quelle nevi: "con che fretta sono andati via i giorni! Giocai ragazzo tra i noccioli, litigai coi sofisti e coi retori, lessi tutti i poeti che trovai disegnando fantasie delicate. Come un'ape, succhiavo ogni libro..." Le parole di questa poesia potrebbero riassumere l'intero programma educativo e pedagogico di Erasmo. Impiegato più volte come precettore al servizio di importanti famiglie, dedica a un nobile fanciullo borgognone il "De civilitate morum puerilium". Il volumetto esce in latino nel 1530, sei anni prima della morte dell'autore, conosce un buon successo, e viene successivamente tradotto (1532, 1544) in inglese e francese dopo essere stato adottato come testo didattico nelle scuole olandesi; questa è la prima traduzione italiana.
Il trattatello, figlio minore del più conosciuto "De pueris statim ac liberaliter istituendis", è un compendio di regole del vivere civile. Erasmo scrive nel prologo che il primo compito dell'educazione è quello di far penetrare il seme della carità nella mente infantile, il secondo di far nascere in essa l'amore e la conoscenza degli studi liberali, il terzo nel prepararla ai doveri della vita, il quarto nell'abituare fin dalla più tenera età i fanciulli ai precetti delle buone maniere. Il libretto è dedicato a quest'ultimo punto, ed è diviso in sette capitoli intitolati rispettivamente alla decenza del contegno, all'eleganza nel vestire, alla maniera di comportarsi in chiesa, ai banchetti, agli incontri, al gioco e al riposo. I precetti e i consigli di Erasmo sembrano nascere da una tollerante saggezza pratica, e riguardano non tanto i peccati, ma gli errori che possono rendere un giovane spiacevole alla società; dalla loro osservanza, dovrebbe emergere il ritratto di un fanciullo onesto, il cui equilibrio esterno risponda a un'armonia interiore. Regole formali e buone maniere non valgono tuttavia che a condizione di essere associate alla modestia, e la modestia si addice soprattutto ai bambini, e principalmente ai bambini nobili; essere nobili non significa però possedere castelli e ostentare blasoni, ma semplicemente educare il proprio spirito al culto delle belle lettere e dei costumi liberali, nell'intento costante di migliorare se stessi. L'importante della parola scritta, come scrive Giuseppe Giacalone nell'introduzione, emerge dalle considerazioni e dagli intenti dell'Erasmo educatore, che sente la necessità di fissare, per la prima volta in un testo pedagogico scritto, le regole del comportamento civile dei bambini. In questo modo, egli fa da tramite tra la tradizione orale e quella scritta della pedagogia, proprio nel momento storico in cui essa acquista validità di scienza laica, morale e filosofica applicata all'educazione dei giovani. Frutto di queste convinzioni, "L'educazione civile dei bambini" non può essere considerato solo un galateo dell'infanzia, alla stregua dell'omonimo e coevo Galateo di Giovanni Della Casa; se l'opera del Monsignore italiano ripone nella perfezione esteriore di forme e maniere il grado massimo della civiltà, Erasmo invece se ne serve come mezzo per crescere interiormente e acquisire con grazia una tollerante e superiore dignità umana.
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