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Anno edizione: 2013
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Libro della vita, da leggere e rileggere. Straziante
Romanzo intenso, scrittura molto coinvolgente. Personaggi descritti in modo molto profondo, molte storie che si intrecciano. Più complesso dei romanzi precedenti dell'autore, ma sicuramente è uno di quei romanzi che vale davvero la pena leggere. Nonostante il finale forse non sia stato come mi.aspettavo, mi ha commosso ed emozionato.
Questo romanzo lo definirei un grande mosaico, le cui tessere ci regalano una storia monumentale che ci parla di bambini e di adulti, di genitori e di figli, di fratelli e sorelle, di amicizia e di amore, di guerra e di pietà. L'Autore riesce a farci viaggiare nel tempo e nello spazio utilizzando il mezzo di trasporto più incredibile che ci sia: l'animo umano.
Recensioni
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Buoni sentimenti, saggezza, amore, mistero, avventura, storie d’amore e di guerra ambientate in paesi lontanissimi e sconosciuti. Prima che Khaled Hosseini scrivesse Il cacciatore di aquiloni nel 2003, questa letteratura non aveva nome né epigoni. Le vite degli abitanti di Kabul, dell’antico impero persiano, erano state cantate solo nelle favole delle “Mille e una notte” o nelle poesie di Rumi. Poi, invece, la narrativa memoir è arrivata in Italia come un fiume in piena e ha inondato gli scaffali delle nostre librerie con romanzi ambientati nei luoghi più impervi del mondo: l’Afghanistan ancora, ma anche il Pakistan, il Bangladesh, l’India e l’estremo oriente. Khaled Hosseini ha spalancato una finestra sul deserto afgano, su quella estrema porzione di mondo in cui l’esercito americano aveva da poco ingaggiato la sua guerra contro il terrore.
Ed è stato quasi come ricevere un dizionario sentimentale, in cui poter interpretare la visione del mondo di quelle persone, bambini soprattutto, fino a quel momento visti soltanto da lontano, attraverso i notiziari, con i loro occhi enormi e perspicaci. La dignità, i valori antichi dell’amicizia e della famiglia, l’autenticità dei sentimenti e l’influenza della tradizione sulla vita quotidiana, ma anche l’arte dell’ascolto tipica di una cultura prettamente orale, in cui i racconti dei padri si tramandano ai figli, ogni sera, davanti al fuoco. Una narrativa dei sentimenti che ha spalancato il cuore di quaranta milioni di lettori in tutto il mondo, affamati di quelle storie, commossi e anche indignati, per lo spettacolo di devastazione che ha dato la guerra e per l’arretratezza e la miseria che ancora permane.
Nel primo romanzo di Hosseini era soprattutto la paternità il fulcro del racconto, nel secondo romanzo è Miriam la materna protagonista della vicenda. Ora, a distanza di sette anni, Hosseini imbastisce un racconto incentrato sui legami familiari orizzontali: fratelli, cognati, mogli, matrigne. I protagonisti della storia sono due bambini di un minuscolo villaggio fuori da Kabul, Abdullah di dieci anni e Pari, la sua sorellina di tre anni. Orfani di madre, vengono accuditi da un padre poverissimo e da una matrigna avvilita per la tristezza, coltivando tra di loro un amore fuori dal comune che li lega come due amanti. La miseria li separerà per sempre, straziando le loro vite e cambiando il destino della famiglia che da quel momento perderà i contatti con il mondo e con gli altri parenti. È Nabi, lo zio dei due bambini, fratello della loro matrigna Parwana, a prendere con sé la piccola Pari per farla adottare dalla ricca famiglia per cui lavora come domestico a Kabul. Siamo negli anni cinquanta, la lunga guerra con la Russia non è ancora scoppiata e i talebani non hanno ancora imposto il loro regime. Pari viene affidata a una giovane poetessa dalle idee progressiste, che fuma sigarette in pubblico, ascolta jazz ed esprime liberamente le sue opinioni, ma la libertà durerà poco e le due donne dovranno presto lasciare il Paese e trasferirsi in Europa. Nel giro di pochi anni la malattia, la guerra e l’intransigenza spazzeranno via il ricordo dei fasti della famiglia, la grande casa ornata di tappeti preziosi e di mobili istoriati cadrà in rovina, divenendo preda dei militari prima e degli stranieri accorsi in aiuto della popolazione dopo.
Attraverso la vicenda di questa famiglia, che si dipana dagli anni Cinquanta ad oggi attraverso tre generazioni, Hosseini aggiunge un nuovo tassello alla storia del suo popolo, risalendo lungo i rami più contorti del suo albero genealogico, come avviene nei testi sacri di ogni religione. Sono storie di fratelli, cognati, ma anche cugini come Idris e Timur che ora vivono in California e che, dopo vent’anni, nel 2003 decidono di tornare per le strade di Kabul a vedere cosa rimane dopo la guerra dei loro giochi e dei loro aquiloni lanciati contro il vento. Idris adesso è un medico, Timur un immobiliarista, a Kabul sono attirati da cose diverse e le loro visioni della vita sembrano inconciliabili, eppure il legame familiare li tiene uniti come un nodo.
Attraverso la voce di Idris, un personaggio che somiglia all’autore in maniera impressionante, Hosseini descrive il punto di vista dei “fortunati” che sono andati via dall’Afghanistan e non hanno vissuto il trauma delle bombe, degli stupri e delle violenze. Quelle stesse persone spesso si impossessano di quei sentimenti urlandoli al mondo pubblicando documentari e romanzi che non mostrano nessun riguardo per la gente che quelle esperienze le ha vissute sulla sua pelle. Questo romanzo invece trasuda a ogni pagina il rispetto per un popolo pieno di dignità e saggezza. Se chiedi a Khaled Hosseini cosa pensa della Kabul di oggi, lui risponderà tristemente “mille tragedie per chilometro quadrato”. Ma questo noi lo sappiamo già. Quello che non sappiamo, e che ci preme davvero, è sapere semmai Abdullah sia riuscito con gli anni a scacciare il ricordo straziante di sua sorella, rimasto attaccato alla sua camicia, come la polvere.
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