Quinto Settimio Fiorente Tertulliano è stato uno scrittore latino cristiano. Di origine pagana, ricevette un’accurata educazione retorica e filosofica, nonché giuridica (taluno identifica lo scrittore con l’omonimo giurista menzionato nelle Pandette). Convertitosi al cristianesimo, forse durante un soggiorno a Roma, T. si gettò con tutto l’impeto del suo ardente temperamento nella difesa della sua nuova fede, portando alle più alte vette l’apologetica latina. Con le sue due prime opere databili (197), Ad nationes e Apologeticum, egli ribatte puntualmente le accuse rivolte ai cristiani, ritorcendole spesso contro i pagani, ed esalta la nuova religione dimostrando l’illegalità delle persecuzioni applicate dall’autorità. Egli rivela fin da principio le sue doti di eloquenza vigorosa e travolgente, di dialettica aggressiva e penetrante, di acre e pungente sarcasmo, sempre sotto il segno di una passione sinceramente sofferta. Con lo stesso ardore T. condusse la sua implacabile lotta alle eresie, la quale, portandolo continuamente ad affrontare i maggiori problemi dottrinali, lo consacrò anche iniziatore della teologia latina occidentale. Nel De praescriptione haereticorum (200 ca), che dà l’avvio a tale attività, egli, con abile espediente giuridico, dimostra illegittimo l’uso che gli eretici facevano della Sacra Scrittura. Opera vasta e impegnativa sono i cinque libri dell’Adversus Marcionem (207-212), nei quali si confuta la contrapposizione che Marcione compie fra il Dio dell’Antico Testamento e il Dio dell’amore neotestamentario. L’Adversus Praxean (213 ca), diretto contro l’eresia patripassiana, si configura come il primo notevole contributo occidentale all’ortodossia trinitaria. Specialmente accanita fu la polemica di T. contro lo gnosticismo (si veda in particolare l’opuscolo derisorio Adversus Valentinianos), nel cui intellettualismo egli vedeva la minaccia più grave all’essenza stessa del cristianesimo, e al quale contrapponeva quel realismo che resterà tipico della tradizione occidentale. Particolarmente sensibile ai problemi di ordine morale e disciplinario, T. se ne occupò sempre con intransigente severità (De spectaculis, 200 ca; De idolatria, 211 ca ecc.); e di estremo rigore, talora misogino, fu nei riguardi delle donne (De cultu feminarum, De virginibus velandis, 207 ca ecc.). Tale inflessibile austerità dovette non poco condizionare la sua adesione (213) all’eresia montanista, che affermava imminente il regno millenario di Cristo, negava autorità alla chiesa, praticava una disciplina assai dura. Principali espressioni di questo passaggio furono: il De ieiunio adversus psychicos, che contrappone gli spirituali (o pneumatici, seguaci dello Pneuma o Spirito) agli psychici, immiseriti in una vita vegetativa; e il De pudicitia, che contesta la competenza della chiesa circa la remissione dei peccati. Tra le opere maggiori va ancora ricordato il De anima (210-213 ca), sulla natura, l’origine, lo sviluppo e il destino dell’anima dopo la morte. Forse il contributo più originale di T. è però quello dato alla lingua latina cristiana: non solo suggerì soluzioni geniali a specifici problemi terminologici della nascente teologia latina (introdusse, per es., i termini persona e trinitas), ma seppe anche forgiare, per la rivoluzionaria novità del messaggio cristiano, una forma espressiva di grande valore letterario.