Che importanza potrà mai avere correre in due ore questa bislacca distanza di 42 chilometri e 195 metri? Una distanza nata piú dal caso che dal mito?
«Correre 42 chilometri e 195 metri in meno di due ore è per molti un'impresa eroica, un sogno, un'ossessione. È il proprio Everest privato. La cui cima non è stata ancora raggiunta. Dall'ateniese Filippide al keniano Geoffrey Mutai, da Samuel Wanjiru a Bill Rodgers, sono molti i grandi atleti che ci hanno provato, hanno sofferto, hanno sfiorato il record pagando a volte duramente la sconfitta. Per correre in meno di due ore 42 chilometri e 195 metri è necessaria una straordinaria combinazione di velocità, forza fisica e resistenza oltre a una spiccata capacità di pianificazione, a grandi risorse tecniche e a molto, molto coraggio. Mancano ancora 180 secondi. La maratona perfetta è lì, a pochi passi, chi la raggiungerà per primo?»
Che importanza potrà mai avere correre in due ore questa bislacca distanza di 42 chilometri e 195 metri? Una distanza nata più dal caso che dal mito? È una caccia al record perfetto, un record assurdamente arbitrario e insieme umanamente eroico. E un sogno, è spesso un'ossessione. Ma è anche un'inconsapevole impresa collettiva di un'umanità varia e contraddittoria. In "Due ore" le diverse facce dell'universo "maratona" sono raccontate in dieci tappe brillanti e affascinanti attraverso le sue storie e i suoi eroi. Ci sono le grandi gare di Geoffrey Mutai, quelle in cui ha perso di un soffio dopo aver corso sempre in testa, e quelle in cui ha vissuto l'estasi della corsa in solitudine, quando si sentiva attraversato dallo "Spirito". E c'è la storia della sua vita, simile alle vite di tanti grandi campioni africani della maratona: un'infanzia scalza, un'adolescenza in bilico tra l'alcol e l'impegno sportivo, una scelta di massacranti allenamenti quotidiani in un ritiro sugli altopiani privo di acqua corrente e con le latrine esterne, ritiro in cui continua ad andare ancora oggi, nonostante il milione di dollari guadagnato. C'è poi la storia di Samuel Wanjiru, grande promessa della maratona keniana, travolto dalla ricchezza e dalla notorietà e morto tragicamente ad appena venticinque anni; e ancora, la storia della patria di tanti di questi corridori, la cosiddetta "terra della corsa", dilaniata da guerre civili e tribali. C'è poi il racconto dei dibattiti scientifici sui motivi della superiorità degli atleti dell'Africa orientale (il cuore, lo scheletro, i piedi, i polmoni, l'altitudine, le usanze ataviche?) E naturalmente c'è la storia dell'evoluzione della maratona sportiva, un'evoluzione tecnica, ma anche e soprattutto organizzativa ed economica che ha portato dalla "maratonomania" del primo Novecento, a seguito dell'epica corsa olimpica di Dorando Pietri (descritta da un cronista d'eccezione, Sir Arthur Conan Doyle), all'attuale grande business delle maratone metropolitane.
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