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Anno edizione: 2019
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Titolo: dove non si parla d'amoreAutore: Nina BerberovaEditore: AdelphiData: 1997In brossura con alette, qualche abrasione in copertina (visibile in fotografia). In buone condizioni.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Con questa raccolta di racconti si allarga la prospettiva su Nina Berberova, autrice già conosciuta con il bellissimo e significativo “Il giunco mormorante”. Qui troviamo riunite situazioni che descrivono la vita interiore di quella parte di borghesia russa esiliata negli anni ‘30 e rifugiatasi nel resto dell’Europa. Persone che difendono tenacemente la propria identità smarrita trasportata altrove, le attitudini, le emozioni rispetto a ciò che è andato perduto e quanto si vuole salvare. In questo tentativo di resistenza si avverte una nostalgia e un rimpianto, un senso di drammatico disorientamento, che rendono questi racconti particolarmente intensi. È come se le immagini andassero a sfumare per una sorta di pudore e di dolore, rendendo queste vite mai del tutto definite, eppure, così, estremamente definite agli occhi di chi legge. Non si parla d’amore, ma si parla di quella condizione di esilio che é una condanna a non trovare mai un proprio posto.
Primo incontro con l'autrice russa che ci fa immergere in un mondo vicino e lontano al tempo stesso, dove riusciamo a percepire l'affetto che prova per la sua Patria, ma anche i sentimenti contrastanti che le provoca. Racconti molto diversi tra loro con protagonisti di diverse classi sociali, russi, esuli, personaggi accomunati tra loro per il solo fatto di essere russi. Una buona raccolta di racconti per avvicinarsi e scoprire l'autrice, di cui vorrete sicuramente leggere altro.
Recensioni
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recensione di Alleva, A., L'Indice 1997, n.10
"Poema in prosa", "I guanti", "La fiaba dei tre fratelli", "Sua moglie", "La riva eterna" sono i titoli di alcuni fra i più belli dei diciannove racconti scritti e pubblicati negli anni trenta, e ora per la prima volta raccolti in volume. Si tratta di racconti dalla lunghezza uniforme - non raggiungono quasi mai le dieci pagine -, che in comune hanno al centro la descrizione di un personaggio principale, uomo o donna, che parla in prima persona o viene descritto dall'esterno, ed è sempre un russo emigrato in Francia, più spesso a Parigi. Alla Berberova, all'epoca, riuscivano meglio i personaggi maschili.
La condizione descritta in queste pagine è quella dell'emigrante, di colui che ha lasciato il passato dietro di sé e vive in un dilatato, fisso presente, al quale non riesce ad aderire perfettamente. La Berberova è maestra nel tratteggiare personaggi inutili "come un segno duro", si dice in un racconto, e il segno duro era una lettera abolita dal nuovo alfabeto; inutili come trapassati che vivono una seconda vita, condannati all'inazione e alla contemplazione; tutti protesi, aggrappati alla sopravvivenza, che s'incarna in una stufa di maiolica, in una trappola per i topi, o in un vecchio cappotto gettato sul letto per sopportare meglio il freddo notturno.
Un po' dannate perché danneggiate dall'aver abbandonato la propria terra, le inquiete, complicate creature berberoviane vivono alla giornata, hanno rovesci di fortuna, sono condannate allo stato di precarietà e disaffezione, all'interno del quale vige la legge dell'impossibilità del ritorno, e della possibilità di altri distacchi, altri lutti, altre separazioni, altre perdite, che riaprono una ferita mai rimarginata. La loro dannazione consiste nella solitudine, un vuoto senza scampo. Chi tenta di riempire il vuoto con il benessere, amanti, viaggi, soldi, come la protagonista de "I guanti", è destinato a perdere tutto e anche se stesso, ad autodistruggersi. La Berberova descrive, unica fra gli autori dell'emigrazione, la vita degli emigrati proletari, e questo interessava e veniva approvato dai critici russi dell'emigrazione.
Quanto più amari sono i racconti, tanto più intensa si fa la narrazione, che è sempre cadenzata dall'autrice con estrema misura e controllo, con un lirismo soffuso ovunque e rafforzato nel finale, nodo di un filo da ricamo.
Allieva riconosciuta di Cÿechov e di Maupassant, che nomina entrambi in queste pagine, Nina Berberova unisce la stringatezza della descrizione di tradizione realista alla formazione di poetessa, accanto al marito poeta Chodasevicÿ. "Quella più allegra aveva amici più allegri, ottimi vogatori e amanti delle polpette, che arrivavano senza cappello e con dei dischi sotto il braccio". Ecco un esempio di velocità descrittiva. Oppure la descrizione di una passeggiata sugli sci, che riassume in quattro righe un'intera epoca della vita: "Risalivamo dall'altra parte e, quando arrivavamo in cima, mangiavamo la cioccolata scura della cooperativa e fumavamo le nostre prime sigarette. Poi, tutte scarmigliate, con le guance rosse, inebriate dal fumo e dall'aria, tornavamo a casa di volata".
Una vita all'insegna della perdita, come fu anche quella della Berberova, che lasciò la Russia nel 1922, condusse a lungo una vita nomade a fianco di Chodasevicÿ, visse molti anni a Parigi, si separò dal marito, si trasferì negli Stati Uniti nel 1950, dove insegnò letteratura russa, poteva essere riscattata solo dal successo, che conobbe in tarda età, dopo aver attraversato il globo e il secolo. "Quando mi annoio sento di essere vinto dal tempo", dice il protagonista di "Poema in prosa". Per non annoiarsi e non perdersi, per combattere contro le implacabili lancette della sveglia, la Berberova dovette affilare, immaginiamo, la confidenza con se stessa, la fiducia, la forza dell'abbandono al monologo con la scrittura, al sicuro tiro e rimbalzo della parola sul foglio e dal foglio.
Il suo punto di vista, che possiamo dedurre dai tanti racconti brevi e lunghi, dalle biografie e le memorie pubblicate in questi anni, rovescia quello tradizionale secondo il quale l'artista è indifeso, inadatto ad affrontare la vita, e quindi privo dello spirito di autoconservazione che è invece prerogativa del non artista. Al contrario, per lei il talento, l'arte, l'ambizione, un egoismo operante sono l'unico riscatto possibile, l'unico modo che un perdente ha per vincere. Nel racconto lungo "L'accompagnatrice" (Feltrinelli, 1987; ed. orig. 1934) resiste la cantante, e soccombono i non artisti. Allo stesso modo, nel romanzo "Storia della baronessa Budberg" (Adelphi, 1993; ed. orig. 1981), in russo intitolato "La donna di ferro", troneggia la figura femminile della protagonista avventuriera, che fu amante di Gor'kij e di Wells, e nella bella autobiografia considerata il suo capolavoro, "Il corsivo è mio" (Adelphi, 1989; ed. orig. 1972), trionfa lei stessa. La Berberova sembra aver consolidato negli anni una sua legge personale, istintiva e mirata allo stesso tempo, simile a quella che regna fra gli animali, fondata sulla selezione naturale della specie. Probabilmente la consuetudine della Berberova a luoghi e mestieri ogni volta diversi dovette pian piano mutarle la pelle, trasformarla in un animale sempre nuovo e sempre più resistente, impermeabile.
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