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Raccontini minimalisti dove la descrizioni di eventi quotidiani sembrano sempre sul punto di svelare qualche significato più nascosto, che poi non si rivela mai. Una vena di tristezza li percorre tutti.
C’è il susseguirsi delle stagioni e lo scorrere del tempo che abbracciano la protagonista. Un romanzo dallo stile garbato e ben costruito nel ritmo narrativo. Ho apprezzato il tocco delicato della scrittrice quando racconta della città in cui vive. Consigliato.
Un romanzo che segna il passaggio di un confine nella vicenda della protagonista nella sua vita tra la piscina, i giardini e le stazioni. A colpirmi, particolarmente, sono il rapporto della donna con i suoi colleghi ed infine, con il suo amato. Ho letto il libro in pochissimo tempo e mi piacerebbe rileggerlo nuovamente, magari in compagnia delle persone che amo.
Recensioni
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Del rapporto con una città, del fluire mutevole delle cose, del continuo interrogativo su se stessi, sulla propria appartenenza a un luogo: di tutti questi nodi racconta Dove mi trovo (163 pagine, 15 euro), il nuovo romanzo dell’indiana naturalizzata statunitense Jhumpa Lahiri, edito da Guanda. Un libro che prende il via da un’esistenza piccola, e che quasi senza una trama, e con una manciata di personaggi abbozzati sullo sfondo, riesce a incrinare le certezze della quotidianità fino a svelare una piega malinconica tipicamente umana, consapevole e calata nel tempo e nello spazio.
Una città senza nome, come la protagonista: una donna, una città, il legame che le unisce. Tratti generici e insieme dettagli rivelatori. Forse è Jhumpa Lahiri stessa, forse è Roma, città dove ha abitato a lungo, ma quelli autobiografici sono solo fili che si intuiscono leggendo. Il testo ha una centralità importante: è il primo romanzo scritto da Jhumpa Lahiri direttamente in italiano. Una scelta linguistica significativa, perché scavalca un confine e apre un’altra porta, una nuova frontiera nella ricerca incessante di un’autrice già coinvolta in vite e mondi differenti. In questa storia a prevalere è l’amore per l’Italia: lo rivela la lingua, lavorata e precisissima nella sua finta semplicità, parole selezionate, aggettivi e verbi nitidi, e lo lascerà trasparire anche la trama, che lentamente e con una malinconia crescente svelerà un abbandono di quella città di cupole ed estati deserte che ricorda così tanto la capitale. E se il romanzo si apre con una citazione di Svevo, l’attaccamento agli scrittori italiani è stato confermato dalla stessa Jhumpa Lahiri durante la presentazione torinese del libro, quando ha raccontato di aver portato con sé e letto durante il volo che la portava dall’Italia agli Stati Uniti Il sistema periodico di Primo Levi, nella sua edizione italiana.
Dove mi trovo è un romanzo fatto di tessere, piccoli racconti che si chiudono a ogni capitolo e che inseguono il senso del titolo: dove mi trovo. Non una domanda, ma un’affermazione calcata in un presente dove la protagonista, una donna sola forse per sfortuna, forse per scelta, vive la propria esistenza solitaria intrecciando lo svolgersi quotidiano delle giornate con pensieri e riflessioni che non si distaccano mai troppo da una modalità “minore”, un velo di tristezza. È la malinconia della consapevolezza, quella della propria esistenza che si svolge senza troppi colpi di scena e sa stare dentro i propri binari e routine, quella dell’improvvisa possibilità che tutto questo cambi, dando vita a scenari inaspettati. È quel che accade: la protagonista vince un posto da insegnante negli Stati Uniti ed è costretta a lasciare la città, la casa, un piccolo mondo familiare.
Il confine linguistico diventa così un confine reale, l’abbandono di un mondo a favore di un altro, lontano, che impedirà di tornare spesso e costringerà quelle ricorrenze quotidiane, quei piccoli rituali, a svaporare nella memoria. Si riattiva il viaggio: valigie, traslochi, case che si svuotano, le certezze sono sabbia che sfugge dalle mani. Sulla tensione dell’andare via, sull’inquietudine dello spostarsi, è costruito l’intero romanzo. È una ricerca di identità incessante, un continuo guardarsi agire, come da fuori, e domandarsi, vedendosi cercarsi, pensarsi nella relazioni con luoghi fatti propri e, non trovandosi più, spaventarsi, intuire ombre, ancora cercare di indagarsi, infine capirsi e capire così dove ci si trova.
Recensione di Alessandra Chiappori
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