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I DIVINI MONDANI Il jet set degli anni sessanta. Si passa da un party all'altro, da un'esposizione all'altra tra viaggi e amori che durano il tempo di bere in una coppa di champagne. È questo il mondo che ci regala Ottiero Ottieri nel suo romando Divini mondani tratteggiando un'epoca e soprattutto un mondo, portandoci alla memoria scene di film di Fellini e di Bertolucci tratteggiando un'Italia “leggera” alla vigilia del '68.
Un mondo dorato, fatto di belle ragazze e bei giovanotti. Orazio, e tutto il mondo che ruota intorno a lui, vuole divertirsi a più non posso: si esce tutte le sere, si rincasa all'alba, lo champagne scorre a fiumi, si va a caccia di pernici, nei boschi. Si passa da un cocktail all'altro, da una cena in piedi ad una cena seduta, si fa all'amore quando se ne ha voglia, con chi ne ha voglia, senza turbamenti... poi ad un cero punto del racconto, in pochissime righe, fa capolino la morte, ma, questa, viene immediatamente rimossa, censurata. Un mondo vuoto...Ma è, poi, un mondo vuoto? O è il nostro mondo? O è il mondo, così come ce lo propongono gli spot pubblicitari e a cui, tutti, vorremmo appartenere?
Una nuvola mondana, fragorosa e inetta coi suoi ospiti ridanciani, di aereo in aereo a correre di festa in festa, in un solo giorno, frenetici e avidi nel loro cosmo esclusivo. Atterrare in elicottero su uno spiazzo di pista ancora pieno di sciatori, e accecarli, investirli di vento, perchè "la seggiovia è stupida e lenta", e loro sono "due angeli superiori alle abitudini del mondo, alle code". Riempire un discorso parlando della ruota sgonfia di una Bentley o contando testa per testa gli scelti da invitare a una festa: "Lui non appartiene alla gente comune, aggiungilo alla lista". Volutamente aspro, offensivo ma limpido nel rendere un linguaggio specifico, quello della ricchezza più bruta, becera, sontuosa e gradassa, Ottieri qui stritola e spinge la letteratura nel ventre della ricchezza più sfacciata, in un costante e dionisiaco funerale emotivo. In bilico su una felicità sempre pagata, "ginnasticati" al sorriso, alla circostanza, al peccato, valige in marcia perenne da una località all'altra, si snodano una serie di personaggi, forse dannati o irreali, stritolati da quel bisogno di vita come di un unico perenne respiro. E tuttavia, nelle parole di una delle tante amanti di un giorno del protagonista, arriva la verità con la sua forza opposta:"Noi abbiamo bisogno di giocare sempre; se non godiamo diventiamo pazzi.Per noi la possibilità è migliore della realtà, e ritengo che la nostra vita randagia, notturna, serva a compensare la mancanza d'amore. Forse è tutto qui. E' questo il simbolo della nostra vita, rimbalzare sull'acqua come un sasso, non andare mai a fondo. Queste grandi ragioni che abbiamo di possedere il meglio cadono avanti al rapporto con una persona sola". Ecco la cifra di questo racconto, l'irrealtà che maschera un dolore di dentro, la cui voce però affiora di tanto in tanto, nei brevissimi attimi in cui il pensiero sa davvero scrutarsi. Sul fondo di un bidet proporre gli occhi spalancati di Rodolfo Valentino. La disperazione assoluta.
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