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"Disturbi di luminosità" è una pillola che devi mandare giù senza zucchero, ma va bene così. Un libro esigente, non per tutti e che forse è opportuno dosare (io l'ho letto quasi tutto d'un fiato, con grande fatica emotiva, ma non me ne pento). L'unica pecca è che ci ho messo un bel po' a riperirlo, e ho dovuto persino annullare un primo ordine e riordinarlo in un secondo momento! Però è assolutamente valsa la pena di aspettare.
Recensioni
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«Ancora mi parli della vita? Per starmi accanto devi scendere nel pozzo e danzare in mezzo ai morti. Prima della fine guarda le crepe della luna, ci saranno gli occhi miei nei tuoi. Ti amo da morire e morirò in quest’abbaglio. Scacciami, sei in tempo. Trafiggimi o salvami una volta per tutte, da quest’abisso di specchi sbrecciati»
Rompe gli schemi. Viola qualsiasi patto narrativo. Disturba. È superbo.
Disturbi di luminosità (120 pagine, 15 euro) di Ilaria Palomba, pubblicato da Gaffi, è un libro nuovo. Estetico. Pagina dopo pagina, le parole disturbano, turbano, perturbano e ammaliano come una Circe, di amore e morte. Salta le categorie logiche della narrazione e penetra tra gli anfratti dell’incubo e del ricordo di un’infanzia, la sua, violata. Sfida il lettore a seguirla sull’orlo del baratro personale e lo tiene per mano, con le ferite a contatto. Pelle contro pelle, il calore umano per tornare in superficie. È una preghiera estrema, al limite della favola, biografia e della poesia.
Disturbi di luminosità è un lungo flusso di coscienza in cui la Voce accompagna il lettore tra le pagine che fondono e confondono, durante la lettura. Il racconto di sé avviene da un luogo liquido in cui tutto può essere vero e verosimile. Il lettore viene accolto in una prospettiva deformata e deformante. La protagonista Senza Nome soffre di un disturbo borderline di personalità, troppo giovane è stata violata e con linguaggio rarefatto ricorda a sprazzi lo stupro subito. Poi c’è Lui, personaggio amato e odiato allo stesso tempo, l’archetipo del salvatore capace di amare senza riserve e forse per questo non riesce ad essere ricambiato in pieno; c’è L’Oracolo, un terapeuta che la segue nelle sue altalene di incubi e desideri, tra vita e morte: «Non finisce mai questo morire e non morire mai» ; Narciso, un manipolatore di sentimenti e parole capace di succhiare, consumare, corrodere e gettare ciò che desidera, senza rammarico; e Lei, il doppio di Sé che nasconde e rivela qualcosa di questa protagonista Senza Nome, dalle mille fughe: lei una doppelgänger, una gemella che scappa da sé per imparare a volare (o a fuggire ancora una volta) da una città all’altra: Dublino, Berlino, Parigi, Bari, Roma. Mille fughe, ferite e feritoie che sembrano essere sinonimi di un unico progetto: trovare l’ossigeno, riprendere se stessa, stanare la luce, donare un luogo alla propria.
In questa recherche dell’Io, la protagonista Senza Nome infrange i confini, si sfida per convertire volto, sguardo, anima, espiare la colpa di un gesto incollato alla pelle, come le cicatrici di un sopravvissuto.
«Sul mio corpo chiunque ha agito e disposto come meglio ha creduto. Ora questo corpo voglio spezzalo, infrangerlo, dividermi ancora, essere oltre, indossare maschere mostruose, divenire regina»
Il corpo diventa strumento per sentirsi estranea nella propria immagine e conoscere se stessa, attraverso gli altri. «La mia doppia non ride, odia le donne. Vorrebbe essere l’unica»
Il corpo come ossimoro della colpa: peccaminoso, continua a peccare per espiare la colpa, e pecca. Una spirale senza via d’uscita, l’affanno di un corpo che prova a scovare un luogo di pace, forse l’anima ed espiare la colpa. Una colpa, per colpa non sua.
«Vorrei mi capissi amore mentre rovino la notte in orizzonti che non ti appartengono. Se fossimo capaci di stare la mondo come tutti non avremmo questo disperato bisogno di renderci dono e sporcarci di terra e carne, come si trattasse di una qualche forma di redenzione»
L’esperienze diventano estreme: c’è l’abuso di sostanze stupefacenti, il sesso promiscuo, l’autolesionismo, tentativi di suicidio, gli psicofarmaci, la psicoanalisi; poi le letture ossessive, la scrittura infuocata, le performance violente. L’atmosfera dentro cui ci si muove è fatta di ombre e ricordi, atti estremi, incubi, deliri, fantasmi.
«Ero circondata da presenze e alle volte le pareti ridevano con la voce di mia madre»
Disturbi di luminosità di Ilaria Palomba ha una scrittura esorbitante e ogni singolo tratto diventa il tratto che distingue l’autore, in modo inequivocabile. Una congiunta combinazione in cui i tagli, il dolore, la follia incrociano la luce, la bellezza e la grandezza dei grandi paradigmi letterari. Ilaria Palomba ci consegna un corpo estraneo rispetto alla cultura letteraria italiana a cui siamo abituati. Qualcosa dunque sfugge al lettore e impedisce di immedesimarsi totalmente in questo caleidoscopio di corpi, anime e voci che restano sospesi, imparafrasabili o intraducibili se non nella sola forma in cui si sono cristallizzati, in quel luogo destinato solo ai Poeti. Un libro intenso e stravolgente. Ilaria Palomba ha una penna acuminata e fragile come certe lacrime degli eroi, consapevoli però che «nonostante tutto esiste la bellezza».
Recensione di Margherita Ingoglia
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