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Anno edizione: 2018
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"Disobbedienza" è la storia di Ronit, figlia del Rav di una comunità di ebrei ortodossi a Hendon. Ronit vive a New York, dove cerca di lasciarsi alle spalle il suo passato di ebrea ortodossa, con non poche difficoltà. Alla morte di suo padre. riceverà una chiamata dal cugino Dovid, per cui deciderà di tornare a Hendon. Il suo dissidio interiore a questo punto si inasprisce e il suo comportamento nei confronti degli abitanti della comunità sarà altalenante: se da un lato cercherà di imbarazzare loro e di far sentire loro inadeguati, dall'altra sarà lei stessa a sentirsi spesso fuori posto. Ronit ha deciso da adolescente di allontanarsi da Hendon anche a causa del suo orientamento sessuale. Ronit ha infatti avuto dei rapporti con Etsi, sua compagna di scuola, e al suo ritorno a Hendon la troverà sposata a Dovid. Questo sconvolgerà ulteriormente la protagonista, che non comprende il silenzio in cui è immersa Etsi e il suo essersi ammansita. Durante la narrazione, il rapporto tra Ronit, Dovid e Etsi si approfondisce e diventa fondamentale per ognuno dei personaggi, miglioreranno il loro rapporto con se stessi e con gli altri, conferendo una sorta di lieto fine alla narrazione. Quello che ho più apprezzato di questo romanzo è la sua struttura: ogni capitolo si apre con un versetto della Torah o con delle frasi ripetute durante i riti ebraici, a cui segue una riflessione critica su un argomento religioso, che verrà poi approfondito nel corso del capitolo e permette di inquadrare al meglio gli avvenimenti, ogni capitolo si conclude con il punto di vista di Ronit, protagonista assoluta del romanzo.
Il libro ha una forte connotazione dualistica, anche morfologica: nei capitoli, si alternano le parti in cui ci sono delle riflessioni a quelle narrative, in cui c'è la trama. Trama che è sempre in qualche modo collegata all'introduzione del capitolo. Questo aspetto è molto importante perché permette di seguire il filo logico del discorso anche comprendendo alcuni aspetti della religione ebraica che ai più sono sconosciuti. Interessante è il personaggio del padre di Ronit, il rabbino: molto influente nella sua comunità, colto, sempre disponibile con tutti, ma incapace di comunicare con la propria figlia, che tra l'altro è rimasta orfana da piccola. Ronit cerca, e questo aspetto non è ben evidenziato nel film, forsennatamente, un candelabro, l'unico ricordo che ha di sua madre. A questo menorah si aggrappa con tutte le sue forze, come se fosse l'unico ricordo materiale di quella comunità. Esti, invece, ne è il ricordo affettivo. La figura di Dovid è quella di un uomo che lascia trascorrere la sua vita, non coraggioso e nemmeno molto risoluto, innamorato di Esti. Esti è, come tutte le donne della comunità, una "tradizionalista": deve sposarsi, avere figli, rapporti sessuali comandati con il marito nei giorni in cui è disposto dalle regole ebraiche. Anche in questo c'è un forte dualismo: Ronit ha invece un lavoro importante, è una donna volitiva, ha acquistato una casa a New York, ha una relazione con un uomo sposato, è bisessuale, non vuole impegni e figli. Non è come tutte le altre donne della comunità. Ha un legame, comunque, con quella città, ambiguo. Molto interessante l'aspetto della religione, che è il vero fil rouge di tutta la storia, e che la rende appassionante anche ad una atea e anti-religiosa come me. Perché il vero dato essenziale è proprio questo: la legge religiosa.
"Disobbedienza", opera prima di Naomi Alderman (la "figlioccia" di Margaret Atwood che ha raggiunto il successo planetario grazie a "Ragazze elettriche"), opera insignita di uno dei più prestigiosi premi della letteratura inglese – l’Orange Prize for New Writers – pubblicata per la prima volta nel 2007 - da noi edita grazie a Nottetempo - e ristampata dieci anni dopo in occasione dell’uscita in sala dell’adattamento cinematografico (2017). La storia è in parte autobiografica: la Alderman, come la protagonista Ronit, è cresciuta nella periferia londinese di Hendon a pane e teologia, e come lei dopo l’adolescenza si è trasferita a New York. Nella finzione letteraria Ronit è costretta a tornare a Londra per partecipare al funerale del padre, il venerato Rav Krushka (il Rav è un titolo nettamente superiore a quello di rabbino); al contrario la Alderman, quando è tornata a New York, si è da allora per sempre fermata a vivere in Inghilterra. Seguendo forse il destino di un altro suo personaggio... La Ronit Krushka del romanzo è una donna in carriera, vive dunque a New York dove intrattiene a più riprese una relazione con il collega e capo Scott (lei rappresenta per l’uomo una relazione extraconiugale), e va in analisi dalla dott.ssa Feingold (una persona ebrea in analisi ci rimanda inevitabilmente all’immaginario di Woody Allen). La Ronit del film non è un’analista finanziaria ma una fotografa di successo nella Grande Mela. La interpreta Rachel Weisz, l’eroina de "La mummia" e Premio Oscar circa dieci anni prima per "The Costant Gardener – La cospirazione": la sua rappresentazione di Ronit si pone su un versante meno ribelle e semmai più desolato rispetto all’originale. La pellicola, "Disobedience" (2017), è diretta dal regista cileno Sebastiàn Lelio. Ora facciamo un passo indietro in questo raffronto libro vs film...
Recensioni
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«Al principio della creazione del mondo Dio fece tre tipi di creature: gli angeli, le bestie e gli esseri umani.
Gli angeli li creò con la Sua sola parola. Gli angeli non hanno la volontà di commettere il male e si aggirano per il mondo semplicemente eseguendo gli ordini del loro Creatore. Gli angeli non si possono ribellare. Non possono deviare un solo momento dal Suo fine. Sono tutto e solo il prodotto della Sua volontà. Non conoscono altro.
Così come le bestie che hanno solo l’istinto a guidarle».
Lo scarto con gli uomini, si legge in questo brano di Disobbedienza (318 pagine, 18 euro) di Naomi Alderman, sta nella disobbedienza. «Uniche tra le creature che vengono dalla parola del Signore, gli esseri umani hanno la libertà di decidere. Noi non sentiamo solo la voce dell’Onnipotente come gli angeli. Non siamo guidati solo dall’istinto cieco come le bestie. Solo noi possiamo sentire gli ordini divini e comprenderli, e purtuttavia possiamo scegliere di disobbedire. Ed è questo e solo questo che dà valore alla nostra obbedienza.
Questa è la gloria e la tragedia della razza umana. […] Il nostro trionfo è la nostra caduta, la nostra possibilità di condanna è anche la nostra opportunità di grandezza. E tutto quello che ci resta, alla fine, sono le scelte che facciamo».
Disobbedire, è semplice dedurre da ciò che succede ai protagonisti di Disobbedienza, debutto di Naomi Alderman (che Nottetempo ripropone sulla scia del successo di Ragazze elettriche), è un po’ crescere, sembra un passaggio irrinunciabile sulla strada per l’età adulta. Bisogna essere liberi e coraggiosi per disobbedire, che in molti casi significa avere amor proprio. Chiedere a Ronit, figlia di un rabbino di una comunità ortodossa londinese, che sfugge alla bolla d’oppressione e trova una nuova vita a Manhattan: fa il percorso opposto solo dopo la morte del padre e fa i conti. Chiedere a Esti, compagna di scuola di Ronit, diventata moglie del cugino Dovid (che sedeva alla destra del rabbino…), che in una delle ultime magistrali pagine, a suo modo disobbedisce, tenace e silenziosa, e matura, rivendicando prima di ogni altra cosa il diritto alla parola, che è «il dono della creazione». «Ho desiderato quello che mi era proibito. Continuo a desiderarlo. E tuttavia sono qui. Obbedisco ai comandamenti. È possibile…» Esti sorrise, «se non devo farlo in silenzio».
È un debutto di spessore, quello di Alderman, che ha poco da invidiare a Il vangelo dei bugiardi e a Ragazze elettriche. Si alternano prima e terza persona, ovvero quella di Ronit e di Esti (che s’allarga oltre, in una forma impersonale, ai pensieri del marito Dovid e di tutta la comunità). Il microcosmo ebraico è piuttosto distopico visto con gli occhi di chi ha cambiato mondo, per sfuggire ai suoi riti, alle sue tradizioni e a certe ottusità. Il ritorno di Ronit al suo vecchio mondo creerà non pochi grattacapi nell’ambito della comunità, a cominciare dalla vita del cugino, erede designato del Rav Krushka. Autodeterminazione, libertà di pensiero e disobbedienza hanno però il sopravvento, raccontati fra profondità e ironia.
Insofferente e intollerante è Ronit, che non esita a definire il popolo ebraico «ostinato, testardo e disobbediente», tutte caratteristiche che le si addicono, a dire il vero. Lei disobbedisce, attacca, sferza, anche se forse libera davvero e fino in fondo, non sarà mai. Donna in carriera a New York, tra rifiuto e nostalgia, farà i conti con la “gabbia” londinese in cui è cresciuta, provocando con outing da lesbica (o da bisessuale?) e facendo i conti col presente e col futuro, ancora più che con il passato.
Recensione di Arturo Bollino
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