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La Szymborska riesce a cogliere sfumature del “paesaggio sociale” che difficilmente si trovano in altri poeti. E’ come se ella riuscisse, con ali misteriose, a librarsi oltre la terrazza (solo di poco più in là) dalla quale noi tutti vediamo lo stesso panorama e a rimandarci la descrizione dello stesso con noi inseriti come parte del tutto, mettendo in luce con vera e gentile ironia quelli che sono i lati, talvolta ridicoli, del nostro affannarsi ed agire quotidiano: “Progetto un mondo, nuova edizione, / nuova edizione, riveduta, / per gli idioti, ché ridano, / per i malinconici, ché piangano, / per i calvi, ché si pettinino, / per i sordi, ché gli parlino”. La sua poesia sa dare valore agli aspetti più minuti della realtà, è come una ricercatrice che con lente e spazzolino va a cercare, nelle pieghe della storia, intesa anche nel senso immediato dei minuti che passano, i residui della nostra grossolanità, cercando di ridare dignità a persone o cose nascoste o abbandonate dietro la piccolezza dei numeri se rapportati a statistiche sociali più ampie: “Scrivilo. Scrivilo. Con inchiostro comune / su carta comune […] / […] / La storia arrotonda gli scheletri allo zero. / Mille e uno fa sempre mille. / Quell’uno è come se non fosse mai esistito: / un feto immaginario, una culla vuota, / un sillabario aperto per nessuno, / aria che ride, grida e cresce, / scala per un vuoto che corre giù in giardino, / posto di nessuno nella fila. / […] / Sullo spiedo di filo spinato / ondeggiava un uomo. / Si cantava con la terra in bocca. Una leggiadra canzone / sulla guerra che colpisce dritto al cuore. / Scrivi che silenzio c’è qui. / Sì”.
In alcune immagini rapide e giocose si può di certo amare la Szymborska:“Il tavolo è tavolo, il vino è vino nel bicchiere che è un bicchiere/ e sta lì dritto sul tavolo./Io invece sono immaginaria,/incredibilmente immaginaria,/ immaginaria fino al midollo.//gli parlo di tutto ciò che vuole:delle formiche morenti d’amore/ sotto la costellazione del soffione./Gli giuro che una rosa bianca,/se viene sruzzata di vino, canta.//Mi metto a ridere, inclino il capo/con prudenza, come per controllare/un’invenzione. E ballo, ballo/nella pelle stupita, nell’abbraccio/che mi crea.” -Lo stupore è l’alito vitale di una poetessa attenta alla vita, innamorata di ogni minuzia che la tenga desta, vigile. In una poesia recente scrive “ La sorte, finora,/ mi è stata benigna.//poteva non essermi dato/il ricordo dei momenti lieti.// Poteva essermi tolta/l’inclinazione a confrontare.//Potevo essere me stessa - ma senza stupore,/e ciò vorrebbe dire/qualcuno di totalmente diverso.“ In quest'ultima raccolta - è stato scritto- si chiarisce come il sentimento dell’amore nella lirica della Szymborska sia prevalente ma come ha detto di lei Milosz “ non sarebbe rimasta però fedele allo spirito dei suoi tempi se avesse mantenuto solo tonalità serene” e la poesia della Szymborska è anche poesia amara; stizzisce la morte quando scrive che “ non c’è una sola vita/che per un attimo/ non sia stata immortale.//La morte/arriva sempre tardi su quell’attimo.//Invano tormenta le maniglie/di invisibili porte./Quanto fu conquistato non può più riprendersi.“; rappresenta lo scompiglio di una morte con un gatto che non trova la sua padrona e si strofina sui mobili, graffia le pareti innervosito: “Morire - questo a un gatto non si fa”. La Szymborska non ama le definizioni e in questo è come una donna nell’atto di dire all’uomo “ stai zitto, non parlare”, sa che una definizione è sempre imparziale e dice troppo o troppo poco, in alcuni casi l’eccesso di parole a vanvera ci sfinisce. “ E quasi non bastassero/ i dolori della vita/- ci uccideremo con le parole."
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