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Un libro magnifico raccontato con gli occhi di due bambini indiani. La lettura è difficile, ma la storia è eccellente. Ricorda molto i grandi classici di G.G. Marquez.
Bellissimo. Da leggere e rileggere.
Il classico libro che ti da il magone appena si è girata l'ultima pagina, leggendo quell'ultima parola "domani" che sai per i protagonisti della scena non ci sarà mai più. E' vero, lo stile è complesso, sia per i salti cronologici sia per la scrittura ricca di similitudini e invenzioni linguistiche, molto plastica e innovativa, ma dopo avere intuito cosa è successo sia facile seguire sul filo del ricordo i drammatici eventi che in 2 settimane hanno portato allo sfacelo le vite di tutti i personaggi del libro. Forse inizia in sordina ma già a metà si capisce perchè abbia vinto il Booker Prize. Da tempo non leggevo un libro con tanto lirismo, passione, e una scrittura avvolgente che riesce a far provare i sapori, gli odori, le sensazioni in maniera così "bruciante". Tuttavia viste le sue peculiarità è comprensibile che possa non piacere a tutti.
Recensioni
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«Il Dio della Perdita.
Il Dio delle Piccole Cose.
Non lasciava impronte sulla sabbia, né increspature nell'acqua, né la sua immagine nello specchio.»
Un'India diversa, meno nota, non turistica, né drammaticamente dominata dalla miseria e dalla morte, è quella che appare dal romanzo di Arundhati Roy, terra descritta da una scrittrice allora esordiente, che ha l'orgoglio di vivere in India e di parlare di una realtà che quotidianamente vive.
La trama, che non ha un andamento strettamente cronologico, ma si svolge lungo vari periodi della vita dei personaggi, ha dei nuclei portanti intorno ai quali muovono gli innumerevoli piccoli eventi quotidiani, che, pur scorrendo quasi insignificanti, sono in grado di cambiare radicalmente e drammaticamente le esistenze. Ma ciò che avviene non è descritto, è filtrato dall'immaginario di chi ne è protagonista, soprattutto dalla psicologia dei due "gemelli dizigotici" che sono il nucleo principale della storia. Per un bambino ogni parola, ogni gesto ha un significato assoluto, l'amore è un sentimento perennemente a rischio e la morte è una realtà che la fantasia può ignorare (Sophia Moll, la cuginetta morta, in realtà sta facendo le capriole dentro la sua bara, e sorride e gioca...). Più crudele è la vita per Ammu, madre di Estha e Rahel, i due gemelli: il matrimonio con un uomo alcolizzato e violento, il rifugiarsi nella casa paterna del piccolo paese in cui marxismo e pregiudizi di casta convivono, la relazione con un Paravan, un Intoccabile, che la farà scacciare come indegna di vivere in una famiglia abbiente e rispettata. La sua solitaria morte, a un'età in cui non è né giovane, né vecchia, la sua cremazione a cui assistono, in un'atmosfera di alienazione, la figlia e il fratello, sono in un certo senso la conclusione logica di una vita, che vuole rompere certi canoni, ma non sa farlo fino in fondo.
L'aspetto più affascinante del romanzo è il linguaggio, che la traduzione di Chiara Gabutti rende efficacemente: parole che si fanno immagini e cose, anzi piccole cose, piccoli dei. Si è circondati da realtà vive, basta nominarle o pensarle e assumono una loro autonomia e una forza condizionante con cui è possibile dialogare o scontrarsi. Il silenzio e l'isolamento in cui si chiude Estha, che nemmeno la sorella osa spezzare, è forse l'unica risposta possibile, almeno fino ad oggi, a questa società così impermeabile, pur nell'apparente rapida evoluzione del costume.
A cura di Wuz.it
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