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Dopo cinquant’anni dal suicidio rituale di Yukio Mishima, la sua opera e il suo pensiero sono più vivi che mai. Della vitalità del lavoro mishimiano ne da prova questa raccolta di saggi inediti, La difesa della cultura, pubblicati nel biennio 1967-‘69. L’Autore tratta il tema della cultura e il rapporto che essa ha con: la tradizione millenaria nipponica, la nazione, la natura e la figura e il ruolo dell’Imperatore. Mishima riprende così alcuni aspetti presenti in altri libri, ma quello che emerge dalla lettura è la continuazione della propria opera letteraria, che si può riassumere con l’espressione “via della penna”, con quella della “via della spada”, cioè dell’azione. Chi conosce i lavori del più grande scrittore giapponese del Novecento saprà che accanto ad una intensa attività di romanziere e saggista, in alcuni di essi mostrò come l’agire su sé stessi fisicamente – come la pratica del body building e del kendo – fu per lui di particolare importanza per la propria vita e il modo di concepirla più in generale. Mishima, infatti, propone al lettore una visione eroica, agonistica, combattente e virile dell’esistenza, e dove l’erotismo sia parte integrante di essa. Il libro richiama alcuni aspetti delle sue idee politiche, come il culto del Tenno, e di un nazionalismo radicale e intransigente di impronta simultaneamente antiamericana e anticomunista, ma fu proprio il primo che lo convinse allo spettacolare e terribile seppuku. Per Mishima vedere un Giappone occidentalizzato ed americanizzato era deleterio per la società del Sol Levante, pur essendo egli stesso un ammiratore della cultura europea e americana: Gide, Henry Miller, Novalis, Hemingway, Truman Capote, oltre a Nietzsche e a D’Annunzio erano parte delle sue letture preferite, ma ne criticava gli accordi militari che imposero di possedere un proprio esercito. La sua fine è nota, però i capolavori che scrisse restano da testimonianza di un uomo che sognava di salvare la sua Nazione e seppe morire da samurai.
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