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Condizioni del volume: Assolutamente integro senza nessun segno o scritta. Minimi e fisiologici segni del tempo. Da segnalare: microsbeccatura in alto in quarta (una cosa da nulla). Note sul volume: Il 4 luglio 1776 il Congresso continentale, che due giorni prima aveva votato l'indipendenza di tredici colonie britanniche in Nordamerica, approva la Dichiarazione che spiega le ragioni della drammatica scelta compiuta. Redatta da Thomas Jefferson e rivista da una Commissione di cui facevano parte anche Benjamin Franklin e John Adams, dibattuta in aula e modificata in molti punti significativi pur mantenendo la chiara impronta intellettuale di Jefferson, la Dichiarazione è il prodotto politico di un'intera classe rivoluzionaria.
recensioni di Vaudagna, M. L'Indice del 2000, n. 02
La ripubblicazione della Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America, approvata il 4 luglio 1976 dal Congresso continentale di Filadelfia delle 13 colonie inglesi del Nord America, ci ricorda che essa, "come uno dei testi fondanti della modernità politica" - dice Tiziano Bonazzi nella sua lunga, creativa introduzione -, non solo è fonte storica, ma è stata protagonista di un itinerario di usi, interpretazioni e traduzioni che formano esse stesse una storia del documento di grande interesse per l'analista storico-politico-culturale. Non è un caso che, proprio in contemporanea con questa ripubblicazione, la maggiore rivista di storia nordamericana, il "Journal of American History", dedichi un numero monografico alle traduzioni e usi pubblici della Dichiarazione d'indipendenza in varie parti del mondo. E d'altra parte questa multidimensionalità è espressiva dei concetti universalistici di sovranità popolare e dei diritti naturali dell'individuo, e contemporaneamente costitutiva del "mito americano", per cui, con felice paradossalità, il leader repubblicano conservatore e scrittore di storia Newt Gingrich diceva che "l'America è una serie di favole che capita siano vere".
È la cifra che Bonazzi sceglie di sviluppare nella sua introduzione. La Dichiarazione si inquadra quindi nella tradizione della politica settecentesca, e delle sue espressioni retoriche: documento da essere letto in pubblico per la mobilitazione degli animi, come indicano le pause di lettura nel primitivo testo jeffersoniano; petizione al re e contemporaneamente testo giuridico che in una lunga e meno nota elencazione delle omissioni e violazioni di Giorgio III rispetto ai cittadini d'oltremare sbocca nella sofferta e politicamente innovativa decisione di imputare al re, normalmente irresponsabile rispetto alla legge, la colpa della rottura del patto di cittadinanza, uscendo quindi le colonie americane dal corpo dell'impero inglese.
In questa tensione tra universalità e americanità la Dichiarazione d'indipendenza è creazione di un simbolo. Jefferson, l'estensore concreto, scompare e cede il posto al popolo "che la emana - la dichiara - in quanto potere costituente e sovrano", venendo ben presto a incarnare, al di là dell'accidentalità storica, il grande mito della sovranità popolare. Contemporaneamente la Dichiarazione è anche il costituirsi come "Stato" di un popolo specifico, il popolo americano, incarnatosi "nell'istituzione principe con cui è stata definita e organizzata la sfera pubblica nell'Europa moderna e contemporanea.". Quella universalità ha quindi un referente essenzialmente europeo, per cui "la nascita degli Stati Uniti si colloca pienamente in ambito europeo"; e tuttavia, in questa alternanza ininterrotta di continuità e rotture, la Dichiarazione va al di là di questa appartenenza, per costituirsi in uno Stato al di fuori dei confini storici dell'Europa, e per realizzare il primo processo di indipendenza di una colonia. Fin dal costituirsi quindi di quella specifica nazione che sono gli Stati Uniti d'America, si trovano le premesse di quel mito americano che questa nazione farà proprio a danno di altre aree del continente, "da sempre oggetto privilegiato di meditazione e di interrogativi sul significato del rapporto Europa-America, in un gioco di specchi e di rimbalzi, di appropriazioni e di ostracismi che costituiscono uno dei fili rossi della cultura occidentale".
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