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L’antica commedia degli equivoci funziona sempre? È quello in cui ha sperato il regista Lee Tamahori (L’Urlo dell’Odio, La Morte può Attendere), trasformando la storia vera raccontata in un libro autobiografico di Latif Yahia reduce dalla guerra iracheno-iraniana combattutasi nel decennio precedente, in un action movie a tratti truculento, a volte pruriginoso, ma sempre esagerato e sopra le righe. All’origine di tutto c’è il fatto che il protagonista e l’antagonista non solo erano stati compagni di scuola, ma erano e sono, nel presente della storia, straordinariamente somiglianti. La sventura per Latif è che l’”amico” di scuola è il sadico, folle ed esaltato Uday Saddam, figlio maggiore del dittatore iracheno, che ha visto in lui il suo sosia perfetto, potenzialmente in grado di sventare attentati contro di sé e sostituirlo nei momenti più pericolosi. Con la violenza, e minacciando l’incolumità della famiglia, lo obbliga ad accettare il ruolo che si rivela difficile soprattutto per dover assistere, impotente, ai più spregevoli e immotivati crimini che Uday perpetra ai danni di persone innocenti e inermi. Il risultato sarebbe un film scontato e grossolano, con un’analisi sociale e comportamentale superficiale, da dimenticare al più presto. Se non fosse per un contesto scenografico poco usato (la Bagdad e i palazzi del potere) e soprattutto per l’eccezionale doppia prova attoriale dell’integerrimo Latif e del pazzo cocainomane Uday. Da salvare senza esitazioni il bravo Dominic Cooper, già visto in molte pellicole (Dracula Untold, Capt America – Primo vendicatore, The Escape, Mamma Mia!).
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