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Anno edizione: 2018
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Purtroppo è così. Se si è fortunati no, sennò, come diceva sant'Agostino, i bambini sono il male.
Non mi è piaciuto affatto, perché il "male" descritto non ha niente di "poetico", o filosofico o esistenziale. Una storia molto tetra, quasi orrida, da buio totale, senza nessuna speranza di salvezza. Ma ciò che non mi ha convinto del romanzo, ripeto, non è soltanto il tema (comunque ostico) quanto il fatto che la scrittrice non sia riuscita nemmeno a dargli una forma letteraria capace di catturare. Mi era piaciuto molto il titolo, che non sapevo fosse tratto da uno scritto della Duras.
La storia è cupa, forte. Il mondo descritto è privo di speranza e di redenzione. I giochi dei bambini non sono innocenti e poetici come si immagina, ma senza la presenza dell'adolescente che li guida in un percorso sempre più perverso sarebbero così "al limite"? L'autrice, con una scrittura scarna e senza nessuna partecipazione fa fare al lettore un viaggio agli inferi. Sconcertante
Recensioni
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recensione di Argentieri, S., L'Indice 1997, n.11
"Ambiente di periferia, sul confine fra città e campagna, in un mare di granturco, in un paese emiliano che si chiama Granarolo. Nei lunghi pomeriggi delle vacanze estive cinque ragazzini, maschi e femmine, tra i quali è dominante il quattordicenne Mirko, fanno gruppo, s'appartano e, guidati dalle riviste pornografiche che Mirko procura, s'addestrano al sesso e alla crudeltà. Per concludere, qualcuno deve morire; tocca a Greta, impalata con il manico di una racchetta da tennis. Questa è la storia che Simona Vinci racconta nel romanzo d'esordio, uscito nella collana "Stile libero" di Einaudi. Abbiamo chiesto a Simona Argentieri, psicoanalista, di commentare il libro e le reazioni che ha suscitato".
È trascorso un secolo da quando Freud traumatizzò i contemporanei con le sue lucide rivelazioni sulla sessualità infantile. Ma - come testimoniano alcune reazioni all'opera prima di Simona Vinci - l'argomento suscita ancora resistenze e scandalo. Ma la polemica parte da un equivoco, perché ciò di cui il libro ci parla non è la sessualità e neppure la violenza, ma la solitudine dei bambini, che si trovano a vivere non solo (come aveva profetizzato Mitscherlich negli anni sessanta) in una società senza padri, ma in una società senza adulti.
Da allora si sono ormai avvicendate due generazioni, che dalla repressione ottusa del passato sono approdate - scambiandola per libertà - alla latitanza normativa e protettiva verso i figli, segnando una mutazione psicologica profonda, forse irreversibile. Così bambini precoci, senza costrizioni e senza conflitti, divengono eterni adolescenti, inadeguati a loro volta a svolgere le funzioni genitoriali; la difesa precipua della nostra epoca è quella regressiva dell'indifferenziazione (tra i sessi, le età, i ruoli...), in un clima di povertà di affetti e passioni che non consente di sciogliere i nodi evolutivi.
È questo il mondo di Martina, Greta e Matteo, dieci anni, che vanno a scuola, giocano in cortile alla guerra nucleare, tornano a casa puntuali per l'ora di cena in famiglie normali. ("Martina mangia senza fiatare. Non parlano molto neanche i suoi, sembrano stanchi").
Nella loro vita i "grandi" non sono il papà e la mamma, ma altri ragazzini con quattro o cinque anni in più, che "sanno le cose" e sono i detentori dei "segreti" e delle "regole". Tra di loro, nei reciproci corpi cercano il confronto, il senso del limite, in giochi proibiti senza consapevolezza, ma anche senza innocenza. I gesti della sessualità hanno ben poco a che fare con l'eros; sono piuttosto l'espressione del bisogno primitivo del contatto tra "gattini fratelli". Anche nel momento incontrollato ed estremo del delitto, sembrano mettere in scena una sorta di "rito di passaggio" autarchico e fallimentare, segnato dall'impossibilità di evolvere dal livello sensoriale al livello simbolico per costituire di senso le esperienze, compresa quella della violenza e della morte.
La giovane autrice è maestra nel coniugare la tenerezza con l'orrore; tuttavia la parte finale del libro, dove si consuma una tragedia assurda e continuamente annunciata, è quella che mi ha meno interessata. Ho trovato invece notevole la capacità di Simona Vinci di raccontare la quotidianità, la banalità dei giorni, con uno stile scarnificato e acutissimo (il "primo piano" delle unghiette di Greta, "colorate di rosso scuro, scheggiato", mi sembra molto più efficace delle scene "pulp").
I suoi personaggi sono rappresentanti fedeli delle giovani generazioni, il cui mondo interno si articola secondo un registro più di sensazioni che di emozioni. Così la sua scrittura trascorre continuamente dalla descrizione degli stati d'animo a quella del paesaggio, in una equivalenza di impressioni e di immagini ("La notte era piena di buchi...").
Le cose inanimate - stoviglie, scarpe, giocattoli - vengono in soccorso per illustrare la condizione interiore che non si sa né riconoscere, né dire. Ci sono pochissime lacrime in questo libro, poco sangue, e invece tanti odori - di piedi, di erba, di cibo - e sudore che gronda quasi da ogni pagina, a esprimere l'eccitazione come la paura, l'ansia come la disperazione. Certo la fatica di Simona Vinci - fin dal titolo - non ha niente di ingenuo, né di semplice. È anzi intenzionale e consapevole sia nello sviluppo narrativo che nello stile. Forse è questo che le ha inimicato la simpatia di molti lettori, non necessariamente ipocriti o bigotti. Indubbiamente è sgradevole, ma mai volgare; costruito, ma sincero. Una delle bambine, dopo "la prima volta", torna a casa "con la sensazione (...) di aver perso qualcosa, di aver dimenticato qualcosa e di non poterci fare assolutamente niente. Tutta quella campagna intorno e quella cosa dimenticata, o persa". Anche noi - Simona Vinci ce lo ricorda - abbiamo perduto qualcosa: l'infanzia come luogo idealizzato di proiezione delle nostre parti incontaminate, serene e innocenti; e anche la speranza di poter elaborare secondo l'antica catarsi le infinite tragedie del nostro mondo moderno, perché troppe volte manca - a grandi e piccoli - il presupposto essenziale dell'assunzione della colpa.
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